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Campari Expansion 2008

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Guido Corbetta e Carlo Salvato

RED PASSION: LA STRATEGIA DI ESPANSIONE DEL GRUPPO CAMPARI

Copyright Università Bocconi – 2009. A cura di Guido Corbetta e Carlo Salvato. Questo caso costituisce una base per la discussione in aula e non è inteso a illustrare soluzioni efficaci o inefficaci poste in essere da un’azienda.

RED PASSION: LA STRATEGIA DI ESPANSIONE DEL GRUPPO CAMPARI
La conference call con cui l’11 Novembre 2008 il Gruppo Campari annunciava i risultati dei primi nove mesi dell’anno era appena terminata e le parole del CEO Bob Kunze-Concewitz venivano rapidamente trascritte dall’Investor Relations Office. Alla finestra del suo ufficio di Via Turati a Milano, di fronte a una foto del padre Domenico, il Chairman del gruppo, Luca Garavoglia, rileggeva uno dei passaggi chiave della bozza di comunicato stampa: “Per il futuro, ci aspettiamo di riuscire a contenere le sfide degli attuali mercati che si preannunciano difficili nel breve termine”. Da quando, appena laureato, aveva preso le redini del gruppo nel 1994, in seguito all’improvvisa scomparsa del padre, Luca Garavoglia non ricordava in realtà un periodo in cui Campari non avesse dovuto lottare per guadagnare e poi mantenere una posizione di prestigio tra i leader mondiali del settore beverage. Ma l’autunno 2008, con l’esplodere della crisi finanziaria e dei suoi riflessi sull’economia reale, sembrava prospettare sfide particolarmente ardue. Nei primi nove mesi del 2008 il Gruppo Campari – quinto al mondo per ricavi e presente in più di 190 paesi con il suo ampio portafoglio di marche premium e superpremium di spirit, vini e soft drinks – aveva conseguito risultati positivi, nonostante le condizioni sfavorevoli dei mercati. Rispetto all’anno precedente le vendite al netto delle accise erano cresciute tra Gennaio e Settembre dello 0,8% (3% a cambi costanti). L’EBITDA aveva segnato un incremento del 3,2% (5,6% a cambi costanti) 1 . Nonostante la crescita e i risultati sempre positivi degli ultimi anni, la dimensione del gruppo era però ancora lontana da quella di colossi come Diageo e Pernod Ricard (Allegato 1). In vista di un probabile calo della domanda nei paesi in cui la presenza di Campari era più forte – Italia, USA ed Europa anzitutto (Allegato 2) – Luca Garavoglia si chiedeva quali dei paesi emergenti avrebbero potuto offrire le migliori opportunità di crescita. Il rapido sviluppo dei consumi in alcuni mercati emergenti offriva numerose opportunità per non interrompere il processo di espansione, ma comportava altrettanti aspetti critici da affrontare con cautela. Le modalità di consumo in paesi come la Russia e la Cina si presentavano infatti come radicalmente diverse da quelle dei paesi in cui Campari aveva imparato a crescere. In alcuni di tali paesi gli spirit – è il caso della vodka in Russia – evidenziavano un modello di consumo basato su grandi quantità e pressoché totale indifferenza alla marca. In altri vi erano spirit consumati tradizionalmente – è il caso della cachaça in Brasile e del rhum in Venezuela – a fianco a prodotti di importazione come lo Scotch whisky. Le rilevanti differenze nei modelli di consumo e di distribuzione presentavano dunque sfide nuove, alle quali il Gruppo Campari non poteva sottrarsi, a meno di non voler perdere il passo dei concorrenti. Certo, il Gruppo aveva appena comunicato l’acquisizione di una distilleria messicana proprietaria di due affermati brand di tequila, ma le domande che avevano guidato le scelte del dinamico team manageriale di Campari sembravano non aver trovato ancora una risposta definitiva, pur dopo anni di continua espansione: la sfida competitiva affrontata fin dai primi anni ’90 è vinta? Il Gruppo ha raggiunto una dimensione tale da porlo al riparo dalle continue turbolenze dei mercati?

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Comunicato stampa Gruppo Campari: “Risultati dei primi nove mesi 2008”. 1

Le radici della strategia: Campari 1860-1994.
Il radicamento del brand Campari Era il 1860 quando Gaspare Campari, specialista in amari e cordiali ed esperto barman fin dall’età di 14 anni 2 , inventò l’aperitivo rosso a media gradazione alcolica che ancora oggi porta il suo nome. La ricetta segreta – rimasta immutata e ancora gelosamente custodita in una cassaforte negli uffici del Gruppo – comprendeva più di 60 ingredienti naturali tra i quali erbe, spezie, cortecce e bucce di frutti. L’inimitabile colore rosso fu fin dal principio, ed è ancora oggi, un vero e proprio “marchio di fabbrica”, onnipresente anche nei bilanci consolidati del gruppo 3 , e riecheggiato dallo slogan “Red Passion”. Gaspare Campari non aveva inventato solo un aperitivo, ma un nuovo “superalcolico” dalle caratteristiche di prodotto inimitabili, con una gradazione alcolica pari al 25%, unico nel suo segmento 4 . La comunicazione Campari debuttò nel 1889 con un sintetico listino prezzi tra le pagine dei piccoli annunci del Corriere della Sera. Niente slogan o immagini: solo prezzo, indirizzo e firma Campari. Nel giro di poco tempo la presenza pubblicitaria sui quotidiani divenne proporzionale alla rapida crescita della Campari, che da semplice bottega artigiana diveniva sempre più un’impresa industriale. Infatti, dopo i primi anni di lento sviluppo ottenuto grazie alla produzione artigianale di numerose e differenti bevande alcoliche, nel 1904 Gaspare Campari decise di compiere il balzo verso la produzione industriale aprendo uno stabilimento a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, che rimase attivo per oltre un secolo. Intorno agli anni ’20 il figlio Davide mutò la politica di graduale estensione del numero di prodotti perseguita dal padre, limitando la produzione alle sole bevande dotate di forte identità e immagine: l’aperitivo Campari e il liquore Cordial Campari. Nel 1932 venne lanciato sul mercato Campari Soda, caratterizzato dal design innovativo della bottiglia sviluppato da Fortunato Depero, uno dei più famosi artisti futuristi del tempo, il quale dal 1924 collaborava alla realizzazione di cartelloni pubblicitari per Campari 5 . Da allora, Campari imparò a basare parte del proprio successo su campagne di comunicazione brillanti e innovative. Dalle prime intuizioni di Davide Campari, che portarono a identificare il ruolo chiave della pubblicità per lo sviluppo dei prodotti e del Gruppo, al messaggio “Red Passion” degli ultimi anni, il nome Campari è sempre stato associato a innovazione e creatività. Davide Campari fu tra i primi a intuire che per ottenere buoni risultati il marketing doveva includere un piano di comunicazione efficace e d’effetto. Il “passaparola” non era più sufficiente a far crescere la fama di un prodotto. Già dal 1923, sempre sotto la direzione di Davide Campari, ebbe inizio la progressiva espansione internazionale delle attività produttive e distributive con la costituzione di Campari France. L’espansione internazionale caratterizzò l’evoluzione della Società soprattutto nella seconda metà del secolo, con una crescita che portò i marchi a essere distribuiti in oltre 80 paesi già all’inizio degli anni ’60. Nel 1976 Angiola Maria Barbizzoli, vedova dell’ultimo erede della dinastia Campari, Antonio Migliavacca, trasferì la proprietà dell’impresa ai due principali manager dell’azienda, Domenico Garavoglia ed Erinno Rossi. Nel 1982 Domenico Garavoglia divenne Presidente e principale azionista della Davide Campari-Milano, costituita in forma di società per azioni dal 1946.
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http://en.wikipedia.org/wiki/Gaspare_Campari (18 Dicembre 2008) http://investors.camparigroup.com/ 4 In Italia si definisce superalcolico un prodotto il cui volume è composto per almeno il 22% da alcol. 5 http://www.depero.it/bio-ita4.html/ 2

E’ necessaria una svolta radicale? Il 1994 fu l’anno della svolta. In quell’anno Luca Garavoglia divenne Presidente della società succedendo al padre, prematuramente scomparso. In quel periodo il settore delle bevande alcoliche stava attraversando un’intensa dinamica evolutiva che ne avrebbe mutato radicalmente la struttura. Ebbe infatti inizio una vorticosa attività di acquisizioni e fusioni, che diede vita a gruppi di imprese che assunsero dimensioni mondiali. I loro ampi portafogli di prodotto venivano sistematicamente collocati su un numero crescente di mercati internazionali, per ottenere economie di scala e sinergie produttive e distributive. Negli anni ottanta i grandi gruppi nel settore degli alcolici avevano adottato la politica di controllare i propri prodotti e i margini attraverso l’acquisizione delle agenzie d’importazione nazionale nei singoli mercati locali. A metà degli anni novanta, però, la validità di questa strategia era messa in dubbio da quattro rilevanti minacce: l’aumento del potere contrattuale delle supercentrali d’acquisto dei distributori; l’aumento del numero degli operatori discount; le legislazioni nazionali sempre più restrittive sul consumo di alcool; il marcato declino dei margini nel canale ho.re.ca., quello che contribuiva maggiormente alla determinazione dei margini. In una situazione di mercato di volumi complessivi in diminuzione, il margine dei produttori dipendeva dalla forza contrattuale legata al potere dei propri marchi e dall’efficienza operativa. Ma la pressione delle catene distributive sui margini era in aumento e il canale ho.re.ca. nel suo complesso non offriva più spazi di manovra sui prezzi di vendita. L’unica strategia per contrastare il potere delle supercentrali d’acquisto dei distributori, per i gruppi più importanti, sembrava quella di diventare ancora più grandi. I player minori trovavano invece difficoltà crescenti nell’affrontare le catene distributive organizzate. Solo le piccole e medie imprese che offrivano prodotti dotati di forte identità di marchio potevano sperare di specializzarsi in mercati di nicchia, ma diventavano comunque target di acquisizioni da parte dei gruppi di maggiori dimensioni. Luca Garavoglia si trovò quindi di fronte a un bivio: crescere rapidamente seguendo la dinamica evolutiva in atto nel settore o ripiegare su un ruolo di nicchia. Insieme a Marco Perelli-Cippo (figlio di Paolo, manager in Campari ai tempi di Domenico Garavoglia) Direttore Generale della Davide Campari-Milano Spa dal 1992, e successivamente CEO del Gruppo Campari dal 1995 al 2004, il giovane neo-presidente di Campari rifletté sui punti di forza e di debolezza della società, nonché sulle opportunità e minacce che caratterizzavano il settore in quegli anni: “Prima degli anni ‘90 - ricorda Luca Garavoglia - “la crescita era sì ambita, ma non era una variabile chiave. In quegli anni l’evoluzione della domanda di spirit era diversa: si veniva da forti declini del mercato generale, tanto è vero che alcune società anche primarie quali il Gruppo Pernod Ricard avevano all’epoca diversificato dagli spirit e avevano acquisito aziende nell’area dei soft drinks e nella distribuzione”.

Crescere anche per linee esterne! Un nuovo approccio all’espansione del gruppo.
Campari in Italia nei primi anni ’90. Nel 1994 Campari produceva in prevalenza aperitivi, commercializzando in Italia e all’estero Campari (aperitivo alcolico in bottiglia, classificato come superalcolico; l’Allegato 3 offre una descrizione schematica dei
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principali termini impiegati) e Campari Soda (aperitivo alcolico sodato monodose). L’assetto organizzativo era quello di una struttura funzionale semplice (Allegato 4), con una particolare focalizzazione sulle attività commerciali in Italia e all’estero. Erano già presenti in azienda alcuni dei protagonisti del futuro processo di espansione: Marco PerelliCippo, ai vertici aziendali dal 1992 al 2004, dopo avere ricoperto diverse posizioni di responsabilità nell’area commerciale estero; il suo successore nella posizione di CEO, Enzo Visone, che allora era responsabile della Direzione Vendite Estero, ricoperta in precedenza da Perelli-Cippo; Stefano Saccardi e Mario Nascimbene, per molti anni responsabili rispettivamente delle direzioni legale e marketing. Il mercato italiano degli aperitivi. Nel 1994 il mercato degli aperitivi in Italia aveva una dimensione pari a 700 mld. di lire a prezzi “ex fabrica”. I principali operatori presenti sul mercato italiano degli aperitivi facevano tutti capo, a eccezione proprio di Campari, a grandi gruppi internazionali diversificati. Il principale operatore era Bacardi (quinto gruppo mondiale del settore beverage nel 1994) che, con il marchio Martini, deteneva una quota del 24,6%. Al secondo posto si trovava il gruppo Bols che, con i marchi Riccadonna, Cynar, Biancosarti e Crodino, disponeva di una quota del 22,4%. Vi era poi Campari (Campari e Campari Soda), che deteneva il 17,5%. Il quarto operatore era Garma-San Pellegrino (nel cui capitale sociale era presente la multinazionale Nestlé) che, con Sanbitter e Gingerino, deteneva il 12,6%. Operavano inoltre in Italia anche il gruppo Allied Domecq (quarto gruppo mondiale del settore del beverage nel 1994), con il marchio Aperol (4,7%) e il gruppo IDV-Grand Met (primo gruppo mondiale nel settore del beverage nel 1994), con il marchio Cinzano (1,2%) 6 . La concentrazione sui singoli segmenti era ancora più elevata: Martini deteneva infatti il 71% delle vendite di vermouth. Campari Soda deteneva il 98% delle vendite di aperitivi alcolici sodati, mentre Crodino e SanbitterGingerino si contendevano la leadership degli aperitivi analcolici, potendo contare complessivamente sull’83% delle vendite. Negli aperitivi alcolici in bottiglia, Cynar, Campari e Aperol disponevano rispettivamente del 28%, del 26% e del 19% delle quote di mercato. Il mercato italiano dei superalcolici (o “Spirits”). L’aumento della competitività tra le imprese aveva spinto verso una riformulazione degli assetti societari e aveva rapidamente portato al consolidamento, attraverso fusioni e acquisizioni, di dieci grandi gruppi multinazionali che controllavano il mercato, fortemente concentrato (cfr. Allegato 1). Le barriere all’ingresso esistenti erano, almeno nelle fasi a monte della catena del valore, relativamente basse. La produzione era caratterizzata da un’offerta ipersegmentata e dalla presenza di una molteplicità di prodotti con caratteristiche simili. Ogni grande produttore tendeva ad ampliare il proprio portafoglio prodotti in ogni direzione, anche attraverso l’acquisizione di aziende già esistenti, per sfruttare eventuali sinergie distributive. I grandi gruppi utilizzavano le strategie di marketing per fidelizzare il consumatore e per consolidare la propria quota di mercato. Essi evitavano però di competere sul prezzo, puntando invece sull’identità della marca, sui contenuti simbolici e sulla differenziazione di prodotto. Le numerose imprese di minori dimensioni, che non potevano affrontare
Le quote di mercato riportate sono calcolate in volume. Poiché nel mercato erano presenti prodotti caratterizzati da diverso potere commerciale – e quindi da una diversa capacità di imporre un premium price – le quote di mercato calcolate in valore erano leggermente diverse. Campari e Bols, ad esempio, detenevano quote in valore più alte rispetto a quelle calcolate in volume, rispettivamente pari al 25,9 e al 26,6%, calcolate valorizzando le quantità con prezzi medi “ex fabrica”, al netto di sconti e accise.
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ingenti spese di comunicazione, sopravvivevano attuando una strategia di nicchia. Tale andamento influiva naturalmente sulla percezione da parte del management di Campari sino agli anni ’90: “L’atteggiamento era distante” - spiega Luca Garavoglia - “si riteneva cioè di essere in una nicchia sufficientemente protetta, per cui quello che facevano gli altri ovviamente veniva osservato, ma senza particolare attenzione. Ciò era consentito da un settore abbastanza protettivo: molto lento nel premiare, ma altrettanto lento nel punire i comportamenti competitivi. All’epoca la sensazione era che ci fossero tali barriere all’ingresso, quali la forza del marchio, che tutto sommato si poteva vivere abbastanza indipendentemente da quello che faceva la concorrenza. L’intenzione di crescere non era quindi particolarmente forte. Tanto è vero che non venivano messe in atto nemmeno quelle azioni direi quasi ovvie, ad esempio sul lato dei costi e dell’efficienza produttiva, che avrebbero potuto generare le risorse aggiuntive necessarie ad avviare un processo di crescita esterna”. L’Happy Hour è terminata: il calo dei consumi e la concentrazione del settore A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 il segmento dei superalcolici visse una fase difficile, caratterizzata da un declino dei consumi, che in Italia nei dieci anni dal 1989 al 1998 diminuirono complessivamente del 16% in volume, passando da 203 a 170,5 mil. di litri, con un calo medio annuo dell’1,8%. La crisi del settore non riguardava solo l’Italia, ma anche la gran parte dei paesi occidentali più ricchi, compresi quelli dell’Unione Europea e del Nord America. Spiragli di crescita, invece, si registravano nei paesi dell’Est Europeo, dell’America Latina e dell’Asia Orientale, come Cina, Giappone, Malesia, Taiwan, Tailandia e Vietnam. Il calo dei consumi di superalcolici accentuò la dinamica in atto nel settore, spingendo anche gli operatori più grandi a crescere ulteriormente o a fondersi. Nel 1992 la Bacardi, maggior produttore mondiale del marchio di rhum più venduto nel mondo e terzo gruppo mondiale nel settore dei superalcolici con un fatturato di poco superiore a 2.400 mld. di lire e una quota di mercato dell’8,4%, acquistò per circa 2.000 mld. di lire il gruppo General Beverage-Martini & Rossi. Quest’ultimo era, alla fine del 1992, il sesto gruppo al mondo nel mercato dei vini e in quello dei liquori. La holding italiana del gruppo acquisito era la Martini & Rossi S.p.a., casa torinese produttrice di vermouth, vini spumanti e altri prodotti che aveva chiuso il bilancio 1992 con un fatturato di 316 mld. di lire e un utile netto di 27,8 mld. L’integrazione di Martini & Rossi in Bacardi (le due aziende erano in rapporti da tempo per quanto riguardava la distribuzione dei loro prodotti) diede vita al quinto colosso mondiale nel settore del beverage (Bacardi), il cui fatturato complessivo nel 1994 era di circa 4.200 miliardi di lire. Sempre nel 1992 l’inglese Idv (International Distillers and Vintners, la divisione alcolici di Gran Metropolitan) acquistò l’italiana Cinzano, il maggior concorrente della Martini nei vermouth, favorendo ulteriormente la concentrazione delle aziende del settore. Nel 1996 accade il “big bang” del settore: i due colossi britannici Guinness (proprietario, oltre che del noto marchio di birra, anche, tramite la divisione di superalcolici United Distillers, dei whisky Johnny Walker e Bell’s e dei gin Gordon’s e Tanqueray, per un giro d’affari complessivo di 8.000 mld. di lire) e Grand Metropolitan (proprietario, tramite International Distillers and Vintners, di marchi leader nel mondo quali la vodka Smirnoff, il whisky J&B e il vermouth Cinzano 7 ) si unirono. La fusione diede vita a Diageo, un gruppo da 23 mld. di sterline di capitalizzazione (62 mila mld. di lire), un fatturato combinato di 13,4 mld. di sterline (34 mila mld. di lire, circa due volte quello della principale rivale, la canadese Seagram) e utili per 1,94 mld. (2.700 mld. di lire). Questa

7 A questi vanno aggiunti i prodotti alimentari della controllata americana Pillsbury, proprietaria di marchi noti come Burger King e Haagen Dazs, per un giro d'affari complessivo nel 1995 di circa 8 mld. di sterline (10 mila mld. di lire).

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operazione creò l’ottavo gruppo della Borsa di Londra per capitalizzazione, il primo al mondo nel settore del beverage e il settimo considerando assieme alimentare e bevande.

“Rivoluzione copernicana” 8 : l’acquisizione Bols (1994)
Nel corso del primo anno alla presidenza di Campari, Luca Garavoglia con Marco Perelli Cippo dovette affrontare la decisione di perseguire il cammino tracciato dalla generazione precedente, oppure di intraprendere un cammino di crescita dimensionale. Ricorda Luca Garavoglia: “io mi resi conto abbastanza rapidamente che non avrebbe avuto particolare senso continuare così. Eravamo a un bivio. L’azienda poteva essere venduta, peraltro a eccellenti prezzi, oppure doveva intraprendere un percorso di crescita. Lo status quo non era più ‘appealing’. Alla fine sì, si sarebbe andati avanti certamente molto bene, ma con una progressiva atrofizzazione. Sarebbe stata una ricchissima, splendida ma lenta agonia. Meglio sarebbe stato piuttosto capitalizzare e fare qualcos’altro!”. La “splendida agonia” venne risparmiata al Gruppo Campari dal dinamismo dell’orientamento imprenditoriale del suo principale azionista, come ricorda Perelli-Cippo: “[La proprietà] ha avuto un ruolo determinante, perché ha sposato una strategia, che era la strategia di crescita per linee esterne, senza la quale l’azienda, probabilmente, non avrebbe potuto né avere dei tassi d'espansione soddisfacenti, né a mediolungo termine essere un valido competitor nel mercato. E la valutazione che doveva essere fatta dagli azionisti, e qui mi riferisco ancora a un periodo in cui non eravamo quotati, era sostanzialmente se accedere alla crescita per linee esterne, oppure vendere la società a qualcuno che l’avrebbe certamente acquistata a condizioni molto vantaggiose”. Campari scelse la seconda strada. La prima acquisizione realizzata era destinata a mutare radicalmente la struttura e l’intera storia aziendale. L’operazione riguardò l’acquisto nel 1994 delle attività italiane del Gruppo Koninklijke BolsWessanen (KBW), che in cambio fece il suo ingresso nel capitale sociale di Campari rilevando la partecipazione della famiglia Rossi (il 35%). KBW era una società ad azionariato diffuso di nazionalità olandese, a capo di un gruppo multinazionale che operava nei settori delle bevande e alimentare. Nel 1993 il fatturato consolidato del Gruppo KBW era di circa 4.700 mld. di lire, di cui 312,7 realizzati in Italia, attraverso il possesso di varie società. Campari (che all’epoca fatturava 398 mld., con 50 mld. di utile netto) acquisì la totalità del capitale sociale di Terme Di Crodo Spa, Erven Lucas Bols Italia Spa, Pezziol Bv e delle società da esse controllate, inserendo nel proprio portafoglio-prodotti alcuni marchi di fama internazionale: Crodino (aperitivo analcolico sodato monodose), Cynar (aperitivo/amaro al carciofo in bottiglia), Riccadonna (spumanti e vermouth), Biancosarti (aperitivo alcolico in bottiglia), Crodo e Monticchio (acque minerali; Monticchio fu in seguito ceduta), Lemonsoda e Oransoda (bibite gassate analcoliche). Nonostante la varietà del portafoglio prodotti di Bols, l’obiettivo chiave dell’acquisizione fu un rafforzamento nei prodotti e nel mercato tradizionali, come spiega Luca Garavoglia: “Noi abbiamo acquisito Bols per acquisire uno dei principali concorrenti di Campari-Soda, ovvero Crodino, non per acquisire un analcolico in sé … Crodino aveva una tipologia distributiva esattamente da spirit: identica … Il fatto che Crodino sia un analcolico è quasi “accidentale”. Non ha nulla a che vedere con la realtà delle cose: Crodino ha il conto economico, la modalità distributiva, la modalità di consumo, l’approccio di uno spirit”.
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L’espressione è di Stefano Saccardi, responsabile Legal Affairs & Business Development. 6

La dimensione dell’acquisizione Bols e l’inesperienza di Campari nel gestire processi di integrazione determinarono non poche difficoltà: “L’acquisizione”- ricorda Luca Garavoglia - “fu estremamente dolorosa. Era un’operazione grande per l’epoca, che portò a raddoppiare la nostra dimensione. L’integrazione fu poi estremamente difficile, perché dopo una prima valutazione positiva del management di Bols, approfondimenti successivi fecero emergere parecchie riserve. Ci furono per la prima volta nella storia dell’azienda chiusure di stabilimenti, realizzazione di sinergie … diciamo che fu un periodo di grandissimo dolore per un’azienda totalmente non abituata a questo. Anche la semplice unificazione di due reti di vendita rappresentò un passaggio estremamente complesso”. A partire da quegli anni la spinta alla crescita entrò nel DNA del team manageriale, rimanendo sempre in cima alle priorità strategiche. Il CEO Marco Perelli-Cippo fu uno dei principali artefici di tale crescita: “[L’andamento del fatturato] è sempre stato superiore alle aspettative. E’ stato superiore alle aspettative di budget e alle aspettative di piano di medio termine. Diciamo che è stato superiore anche alle aspettative che il mercato ci consentiva. Quindi, da questo punto di vista piena soddisfazione. Ma è meglio non dirlo. Meglio non dirlo perché il riconoscimento di una piena soddisfazione vorrebbe dire che ci sentiamo arrivati. E invece non siamo mai arrivati. Col mercato bisogna sempre lottare … Poi noi lavoriamo in un mercato maturo, quindi le crescite nostre non possono che essere crescite ‘single digit’. Certo, nel panorama internazionale ci sono 2 o 3 player che sono di dimensioni di gran lunga maggiori rispetto a noi, e che riescono a realizzare operazioni di crescita per linee esterne che sono al di fuori della nostra portata. Io credo però che un'azienda debba sempre avere la capacità e la coscienza di muoversi secondo quelle che sono le dinamiche e le possibilità consentite dalla sua dimensione. Fare dei passi più lunghi della gamba può portare al precipizio.”.

Costruire sul passato, immaginando il futuro
Prosegue la concentrazione del settore Nel 2001 Diageo e Pernod Ricard superarono Allied Domecq e la cordata formata da Brown-Forman e Bacardi nell’aggiudicarsi la divisione di alcolici dismessa dalla società canadese Seagram (secondo player nel settore spirits nel 1994 con un giro d’affari di 5,1 mld. di dollari), grazie a un’offerta da 8,15 mld. di dollari (circa 17.700 mld. di lire). Pernod Ricard balzò dal settimo al terzo posto nella classifica mondiale del settore (circa 3.500 mil. di euro di fatturato e 18.600 dipendenti impiegati nel 2004), acquistando per la cifra di 3,15 mld. di dollari i whisky Chivas Regal, Glenlivet e Glen Grant, il cognac Martell e il gin Seagram’s. Diageo invece consolidò la propria leadership nel settore, assicurandosi con i restanti 5 mld. di dollari il rhum Captain Morgan, i whisky Crown Royal e VO Canadian, oltre a diversi marchi nazionali leader in America latina, Asia ed Europa e alle attività nel vino della Seagram. Nel 2004 Bacardi, che in precedenza aveva già acquistato per 1,86 mld. di dollari il whisky Dewar's e il gin Bombay Sapphire da Diageo (costretta a vendere dall’antitrust americano), aggiunse al proprio portafoglio prodotti il marchio di vodka Grey Goose per un controvalore di circa due mld. di dollari, consolidando il quinto posto nel settore con circa 2.170 mil. di euro di fatturato e 3.350 dipendenti impiegati nel 2004. Infine, nel luglio del 2005 Pernod Ricard acquisì Allied Domecq (circa 4.700 mil. di euro di fatturato e 12.200 dipendenti impiegati nel 2004), costituendo una società in grado, in prospettiva, di contendere a Diageo la leadership nel settore dei superalcolici.

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I processi di selezione e ristrutturazione degli organici e di razionalizzazione dei processi produttivi attuati dalle multinazionali e finalizzati alla ricerca di economie di scala determinarono un netto calo degli addetti produttivi e un corrispondente aumento degli addetti alla distribuzione. Il processo di razionalizzazione delle attività operato dai principali produttori del settore venne realizzato privilegiando i marchi con una visibilità globale e attuando una focalizzazione sul core business. Di conseguenza, i grandi operatori dismisero rami aziendali non correlati né sinergici con il business principale. Tali multinazionali si orientarono invece ad acquisire imprese o marchi per consolidare la propria posizione su mercati maturi e per creare “teste di ponte” in mercati emergenti. Questi processi aumentarono ancora, e in modo significativo, il grado di concentrazione del settore degli spirits (cfr. Allegato 1). Prosegue la crescita esterna del Gruppo Campari In coerenza con il panorama competitivo descritto, che spingeva alla crescita dimensionale, e nonostante le difficoltà (peraltro presto superate) incontrate nel corso dell’acquisizione Bols nel 1994, Luca Garavoglia e Marco Perelli-Cippo decisero di proseguire la strategia di espansione per linee esterne di Campari. Nel 1996 vennero acquisiti i diritti di distribuzione sul mercato italiano (successivamente estesi a quello brasiliano) di marchi leader nel segmento scotch whisky come Glenfiddich e Grant's. Questi si aggiunsero alla licenza di produzione e commercializzazione in Italia (anch'essa estesa successivamente al Brasile) del principale amaro tedesco, Jägermeister. Queste operazioni aumentarono significativamente il fatturato di Campari. Nonostante ciò, Luca Garavoglia ricorda che gli analisti e gli operatori del settore erano concordi nel non considerare il percorso intrapreso dal gruppo a partire dall’acquisizione Bols del 1994 come radicalmente diverso rispetto al passato: “No, immediatamente la percezione non è stata quella di una grande discontinuità. Anche perché a quell’epoca l’azienda non era quotata; quindi non è che gli analisti la seguissero molto. L’operazione Bols fu letta come un’operazione di rafforzamento locale. Questa lettura prevalse anche perché a seguito dell’operazione, Bols divenne un importante azionista e all’epoca era una multinazionale. Molti pensarono che forse questo avrebbe portato a una successiva presa di controllo da parte loro. Noi fummo molto sereni, perché sapevamo che l’agenda non era questa”. Con il 1998 la crescita del Gruppo ebbe un’ulteriore accelerazione: vennero acquisite una partecipazione di minoranza e i diritti di distribuzione mondiali (con l'esclusione degli Stati Uniti) di Skyy Spirits, LLC. Skyy Spirits fatturava 106,7 mil. di euro nel 2000 (ricavandone un utile di 23,4 mil. di euro). L’azienda era stata creata a San Francisco nel 1992 da Maurice Kanbar, brillante inventore che scoprì il modo di eliminare le impurità presenti nell’alcol delle bevande, e che lanciò il marchio Skyy Vodka, tra i leader nel grande mercato americano della vodka. SKYY Vodka era nel 1998 uno dei brand con tassi di crescita più elevati sul mercato nordamericano degli spirit e il più elevato nel segmento premium vodka (CAGR del 19% tra il 1998 e il 2002). Questo segmento rappresentava uno dei comparti più dinamici del settore dei superalcolici. L’operazione si inseriva all’interno di un’alleanza strategica con Skyy Spirits, LLC che portò quest'ultima – titolare di una capillare rete di distribuzione in Nord America - a essere distributore dei prodotti Campari negli USA. L’acquisizione rappresentò un passo importante nella strategia di espansione internazionale del Gruppo Campari. Essa consentì infatti l’espansione, tramite l’accesso alla capillare rete distributiva di Skyy, nel difficile ma remunerativo mercato degli Stati Uniti, che in quegli anni stava vivendo una fase di forte espansione. Pur essendo

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collocata nel medesimo disegno di crescita per linee esterne, l’acquisizione di Skyy, per Luca Garavoglia, aveva finalità distinte da quella di Bols e da altre che seguirono: “Sono differenze radicali, perché Bols era un’operazione impostata sul lato delle sinergie. Campari e Bols erano aziende che operavano nello stesso mercato. Il senso dell’operazione Bols fu realizzare delle straordinarie sinergie da tutti i punti di vista: commerciale, amministrativo, produttivo, fiscale … Nell’operazione Skyy la logica fu completamente diversa. Ciò che ci mosse fu l’obiettivo di acquisire - col senno di poi, a un ottimo prezzo …- una piattaforma distributiva nel mercato più importante del mondo, cioè gli Stati Uniti, ma ancor prima un marchio in forte crescita. Una crescita che all’epoca non era consolidata come oggi: quindi il coefficiente di rischio giudicato ex post sembra basso, ma all’epoca tanto basso non era”. Sempre nel 1998, chiuso da Campari con 646 mld. di lire di fatturato, venne concluso il contratto di commercializzazione in Italia di Lipton Ice Tea, uno dei brand leader di Unilever del valore di oltre 60 mld. di lire, che andò ad arricchire il portafoglio prodotti del Gruppo nei soft drink. Nel 1999 la crescita proseguì con l'acquisizione da Diageo di due marchi fino ad allora trascurati dal gruppo leader mondiale e da rilanciare: Ouzo 12 (la bevanda greca alcolica a base di anice, leader mondiale del segmento e molto diffusa nei mercati greco e tedesco) e Cinzano (uno dei brand italiani più noti nel mondo e marchio leader a livello mondiale nei vermouth e nei vini spumanti con un fatturato di oltre 240 mld. di lire). A seguito delle alleanze, joint ventures e acquisizioni effettuate, il fatturato del Gruppo Campari era cresciuto raggiungendo circa 980 mld. di lire nel 2000 (Allegato 5). Luca Garavoglia non presiedeva più un’impresa mono-prodotto focalizzata solo sul segmento degli aperitivi, ma una multinazionale con alcuni brand di prestigio a livello mondiale. Tuttavia, il 70% del fatturato del Gruppo era ancora legato a quattro o cinque prodotti di proprietà e il rimanente a contratti con terzi che avevano scadenze prefissate senza obbligo di rinnovo. Nel 2001, il Gruppo KBW manifestò l’intenzione di dismettere la propria quota di partecipazione in Campari. Considerate le dinamiche in atto nel settore, gli azionisti decisero di quotare la società presso il Mercato Telematico di Borsa Italiana e di dare un’ulteriore accelerazione al processo di crescita 9 . Infatti, nello stesso anno Campari acquisì per 105 mil. di dollari USA alcuni marchi che occupavano posizioni di leadership nei dinamici mercati brasiliano e uruguayano, entrambi con forte potenziale di crescita: l'aguardiente Dreher, i whisky Old Eight, Drury's, Gregson's e il vino Liebfraumilch. Alla fine dello stesso anno acquisì pagando 207,5 mil. di dollari (233,4 mil. di euro) il 50% del capitale di Skyy Spirits, LLC (di cui deteneva già una quota di minoranza dell’8,9% dal 1998) divenendone pertanto l'azionista di controllo con la maggioranza assoluta. La partecipazione salì in seguito al 100%. Nel gennaio 2002 l’impresa presieduta da Luca Garavoglia finalizzò l’acquisizione del 100% di Zedda Piras (costata 68,2 mil. di euro, oltre all’indebitamento netto stimato in 21,8 mil. di euro; si vedano gli allegati 5-7 per un esame della situazione economica, finanziaria e patrimoniale del Gruppo Campari nel periodo di interesse), che controllava il 67,62% di Sella & Mosca (quota incrementata al 100% nel giugno 2003). Fondata nel 1899 da due imprenditori piemontesi, Sella & Mosca, con 6,6 milioni di bottiglie vendute nel 2001 (di cui 5,5 milioni in Italia e 1,1 milioni all’estero), circa 500 ettari di vigneti in Sardegna e un fatturato complessivo di 20,3 mil. di euro, era uno dei più importanti operatori vitivinicoli italiani e una realtà emergente nel settore dei vini di alta gamma. Sella & Mosca S.p.A. a sua volta controllava il 93,66% di Qingdao Sella &
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Ciò consentì di fare cassa anche al gruppo UBS, nel frattempo diventato azionista di Campari avendo rilevato la partecipazione di uno dei componenti della famiglia Garavoglia. 9

Mosca Winery Co. Ltd., joint-venture commerciale in Cina con partner locali, che produce il marchio di vini cinesi Catai, e il 100% di Société Civile Immobiliaire du Domaine de la Margue, domaine che produce la gamma di vini francesi Chateau Lamargue. Fondata nel 1854 e situata ad Alghero, Zedda Piras era invece la prima azienda di liquori in Sardegna e una realtà emergente e in forte crescita del panorama liquoristico italiano. Zedda Piras produce e distribuisce liquori tipici, tra cui l’omonimo Mirto di Sardegna, leader nel mercato di riferimento con una quota superiore al 50%. Le vendite in volume di Zedda Piras erano di circa 2,5 milioni di litri nel 2001, di cui 1,8 milioni realizzati in Sardegna e 0,7 milioni nel resto d’Italia per un fatturato complessivo di 10,4 mil. di euro. Il tasso di crescita rispetto al 2000 era stato dell’11,3%, con un incremento del 8,1% in Sardegna e del 16,5% in continente. L’acquisizione di Zedda Piras fu un’occasione per aggiungere al portafoglio degli spirit un altro marchio leader e segnò l’ingresso del Gruppo nel segmento delle specialità regionali, in forte crescita a livello nazionale e internazionale. L’integrazione di Sella & Mosca consentì al tempo stesso di ampliare notevolmente la presenza nei wines, dove il Gruppo era già presente con il marchio Cinzano. Il Gruppo Campari aveva infatti col tempo maturato l’intenzione di creare un importante polo di vino italiano di alta gamma, al cui mercato veniva attribuito un forte potenziale di sviluppo. L’operazione aveva però anche importanti risvolti operativi per Campari. A seguito dell’acquisizione, Marco Perelli-Cippo, CEO del Gruppo, dichiarò infatti: “[...] l’ottenimento di importanti sinergie a livello distributivo tra i prodotti acquisiti e il portafoglio del Gruppo è un’altra finalità strategica dell’acquisizione, poiché da un lato acquisiamo una capillare rete distributiva in Sardegna (mercato interessante soprattutto per l’esposizione al turismo internazionale) e una rete consolidata nella ristorazione nel mercato domestico continentale (canale strategico per l’affermazione anche di altri prodotti del portafoglio del Gruppo, in particolare di Cinzano), e dall’altro inseriamo nella rete distributiva Campari a livello internazionale i brand acquisiti in Italia”. Sempre nel 2002 Campari acquisì anche il contratto di distribuzione nel mercato nordamericano di 1800, una importante tequila e quello per la Svizzera di Fernet Branca, il noto amaro italiano. Nello stesso anno il Gruppo costituì una joint-venture con Morrison Bowmore (Gruppo Suntory), finalizzata a commercializzare nel mercato britannico il whisky Bowmore Islay, il liquore Midori, il vermouth Cinzano, Campari e, in seguito, anche Skyy Vodka e il whisky Auchentostan. A questa seguì un'ulteriore joint-venture nel 2003 con Gonzalez Byass per la commercializzazione di Skyy Vodka, Bitter Campari, Campari Soda, Cinzano e Cynar nel mercato spagnolo, che aveva i più alti tassi di crescita in Europa insieme a quello britannico 10 . Nel 2003 il Gruppo Campari completò l’operazione di acquisizione di Barbero 1891 (per un valore di 147,1 mil. di euro, cui si aggiunsero 75,3 mil. di euro di attività liquide). Barbero 1891 S.p.A., situata a Canale, in Piemonte, era invece proprietaria di un ampio portafoglio prodotti sia nel settore degli alcolici (che rappresentava il 60% del fatturato, con marchi quali Aperol, Aperol Soda, i liquori Barbieri e Diesus e, in licenza, prodotti quali Frangelico e Tullamore Dew), sia nel settore dei vini (Asti Mondoro ed Enrico Serafino). Con Aperol venne integrata l’offerta nel segmento degli aperitivi a moderata gradazione alcolica in forte sviluppo in Italia e all’estero. Contemporaneamente, con Mondoro, venne consolidato il posizionamento competitivo nel segmento premium Asti sui mercati internazionali (Russia in particolare).

Nel 2002 Campari fece un’offerta anche per l’acquisto di Eckes & Stock international, divisione alcolici del gruppo Eckes, che fatturava 363 mil. di euro (al netto di accise) e possedeva marchi di brandy e liquori noti a livello internazionale, quali Echter Nordhauser, Chantré, Fernet Stock, Stroh, Stock 84, Grappa Julia e Limoncé. In questa occasione l’offerta più consistente di un gruppo concorrente di maggiori dimensioni ebbe la meglio su quella di Campari.
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Nel dicembre 2005 il Gruppo Campari rafforzò la propria offerta nel segmento vini di alta qualità in Italia e all’estero acquisendo Teruzzi&Puthod, leader nella Vernaccia di San Gimignano e tra le più grandi aziende vinicole dell’intera Toscana che si estende su 180 ettari, di cui 91 vitati, da cui nascono cinque tipi di vino differenti venduti in oltre 20 paesi. Nello stesso mese il Gruppo fece il suo ingresso nel segmento degli Scotch whisky con una operazione che il CEO Enzo Visone commentò così: “Siamo fieri di aver concluso un’altra importante operazione, che ci permette non soltanto di rafforzare ulteriormente la nostra posizione negli spirit, ma anche di segnare ufficialmente il nostro ingresso nel segmento chiave dello Scotch whisky, una delle categorie di spirit più importanti del mondo, ricca di potenzialità sia a livello internazionale sia sul mercato domestico”. Campari acquisì infatti Glen Grant (seconda marca di single malt a livello mondiale e leader nella categoria Scotch whisky in Italia per un controvalore della transazione di 115 milioni di euro), Old Smuggler e Braemar (controvalore della transazione di 15 milioni di euro). Si tratta di marchi che il gruppo francese Pernod Ricard si era impegnato a dismettere – in ottemperanza alla normativa antitrust europea – a seguito dell’acquisizione di Allied Domecq avvenuta nel luglio 2005. La crescita esterna effettuata in questo periodo assorbì ingenti risorse, ma risultò perseguibile in virtù della forte capacità del Gruppo di generare cassa (cfr. Allegati 5-7).

Non solo crescita esterna: la costruzione del portafoglio prodotti del Gruppo Campari
La strategia di acquisizioni non è stata l’unica determinante della crescita del Gruppo. Nel tempo Campari ha saputo sviluppare internamente numerosi prodotti innovativi. Secondo Luca Garavoglia: “[...] ciò che ha fatto la differenza è stata sicuramente una rapida crescita esterna, ma il motore della crescita è stato anche una buona crescita organica, che si può stimare nell’area fra il 5% e il 10% annuo tra il 1994 e il 2004 e che negli ultimi anni si va accentuando grazie a una strategia di line extension e al lancio di nuovi prodotti”. Il fatturato crebbe costantemente in questo periodo, ma con un diverso peso dei principali driver della crescita. Il mercato del beverage in generale, e degli spirit in particolare, subì una contrazione costante dall’inizio degli anni ’80 e fino alla fine degli anni ’90. La ripresa dei consumi ebbe inizio nel 2000-2001. Nel periodo di espansione dei consumi Campari tornò a impiegare anche la crescita organica come driver di crescita totale dell’azienda. Nel corso della sua storia Campari ha perseguito un’intensa strategia di ampliamento della gamma. Anzitutto allargando la gamma dei prodotti offerti in un determinato segmento già presidiato. Ad esempio nel segmento aperitivi, aggiungendo a Campari i marchi Campari Soda, Aperol, Aperol Soda. Poi, entrando in segmenti già esistenti nel settore ma non presidiati, ad esempio nel segmento dei ready to drink lanciando Campari Mixx per contrastare Bacardi Breezers 11 . Insieme alla crescita del mercato USA – colta da Campari grazie all’acquisizione di Skyy – l’esplosione dei ready to drink era percepita dai vertici di Campari come uno dei trend di

11 I Ready-To-Drink (RTD) e i Premium Packaged Spirit (PPS) rappresentano l’ultima tendenza nelle abitudini di consumo di prodotti alcolici dei giovani di tutto il mondo. Sono prodotti monodose premixati, a bassa gradazione, che si rivolgono a un consumatore giovane, maschile e femminile, innovativo, che si adattano a molteplici occasioni di consumo nell’arco della giornata e costituiscono un’alternativa di tendenza alla birra. Nel 2002 il Gruppo Campari è entrato in questo nuovo segmento lanciando con un packaging rivoluzionario Campari Mixx in Italia (poi estesa nel marzo 2003 al mercato austriaco) e Cinzano Five in Sud Africa. Tra il giugno 2003 e il 2004 sono state introdotte le line extension Campari Mixx Orange, Campari Mixx Lime e Campari Mixx Peach sul mercato italiano e austriaco.

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settore più promettenti nei primi anni del nuovo millennio. Secondo il CEO Perelli-Cippo, due furono le principali dinamiche di settore nel periodo 1998-2003: “Una è la ripresa fortissima dei consumi negli Stati Uniti, con un particolare dinamismo in un segmento specifico del nostro mercato che è quello della Vodka, che ha portato all'affermarsi di almeno 50 nuove marche di premium-Vodka. La seconda è la creazione di un nuovo mercato, quello dei ready to drink, cioè quelle bevande a bassa gradazione che mutuano il nome da un marchio famoso e che soddisfano una esigenza nuova e diversa, che è quella di avere un prodotto che consenta una attività di bere sociale prolungato nel tempo. Questo mercato ha avuto un enorme dinamismo negli ultimi 6-7 anni [1997-2004], creando una nuova area di consumi, in parte sottratta al mondo della birra: un segmento del beverage tradizionalmente esterno alle società di wines and spirit”. Campari è poi entrata in mercati già esistenti all’interno del settore ma nuovi per il Gruppo, ad esempio aggiungendo all’interno del settore dei superalcolici la vodka (Skyy), il mirto (Zedda Piras), l’amaro (Cynar) e il whisky (Glen Grant). Inoltre, il gruppo è entrato in nuovi settori, quali quello dei soft drink (con l’aperitivo analcolico Crodino, le acque Crodo, le bibite gassate Lemonsoda, Oransoda, etc.) e dei vini (Mondoro, Sella e Mosca, Cinzano, Riccadonna). Queste modalità di crescita si sono spesso intrecciate nel tempo. Ad esempio, attraverso l’acquisizione di Skyy Spirits LLC, Campari non è solo entrata nel segmento (prima scoperto) della vodka premium negli Stati Uniti con il marchio Skyy Vodka ma, tramite Skyy Spirits LLC, ha ampliato la gamma lanciando sul mercato le line extension SKYY Berry, SKYY Spiced, SKYY Vanilla, SKYY Melon, SKYY Orange e SKYY Citrus. Campari ha successivamente creato un nuovo marchio di vodka dedicato al segmento di qualità top (SKYY90), ed è entrata nel nuovo segmento dei ready to drink (in seguito rivelatisi meno promettenti delle aspettative) negli Stati Uniti con il marchio SKYY. Tra il 1994 e il 2008 il management del Gruppo attuò dunque una strategia competitiva a livello aziendale volta alla creazione di un solido portafoglio di marchi, dotati di forte personalità e successo competitivo e in grado di espandersi internazionalmente. I marchi acquisiti da imprese terze vennero valorizzati e, se necessario, rivitalizzati (come nel caso di Crodino) con un’attenta e incisiva politica di marketing. Inoltre, spesso i nuovi marchi (acquisiti o sviluppati internamente) sono stati innestati nell’organizzazione distributiva esistente e hanno consentito il raggiungimento di rilevanti economie di scala, di una maggiore forza contrattuale nei mercati (spesso maturi) in cui erano già venduti i marchi “storici” e di un rilevante grado di penetrazione delle vendite nei mercati emergenti. Strategie simili, dunque, con una eccezione, evidenziata da Luca Garavoglia: “Il vino è l’unica vera eccezione. Nel senso che il vino ha delle logiche completamente diverse rispetto al mondo degli spirit. Noi questo non l’abbiamo capito subito. La cosa più evidente è l’atteggiamento del consumatore. Gli spirit sono un’offerta relativamente semplice. Il consumatore che entra in un bar molto probabilmente ha già deciso cosa consumare. Il consumatore di vino entrando in un ristorante, invece, molto probabilmente non ha ancora deciso. E se anche ha già deciso, un bravo ristoratore, se vuole, gli può far cambiare idea. Inoltre i ristoratori (per quanto riguarda il canale on trade) e la grande distribuzione (per quanto riguarda il canale off trade) hanno molto più potere nel segmento dei vini. E quindi, di rimando, i produttori hanno molto meno potere. Le possibilità del produttore di incidere sulle scelte del consumatore sono molto più flebili. Il marketing nel vino è quindi molto, molto diverso. Basta pensare al potere smisurato di certe figure come il famoso Robert Parker, che è la Bibbia del vino per gli americani … Avere 90 punti di Parker, vuol dire su un vino avere 10$ in più. Questo negli spirit non esiste. Il peso delle pubbliche relazioni è molto più importante rispetto agli spirit. Inoltre l’autenticità conta di più come anche il valore della scarsità che risulta importantissimo. Negli spirit nessuno si sogna di dire: “siccome ce n’è poco o è poco conosciuto io ne sono attratto”. Nel vino è l’opposto. E’ una logica diversa anche dal punto di vista distributivo. Esempio, valido al 100% per i Paesi latini produttori, un po’ meno per i Paesi anglosassoni, la visita da spirit è una visita di vendita da 20 minuti incentrata prevalentemente sulla promozione, la visita di vino dura 5 ore ed è fatta di degustazione. Approcciarli allo stesso modo non è quindi possibile … Comunque esistono tante altre differenze, che
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inizialmente non erano state tutte recepite all’interno di Campari. Ora, tuttavia, trattiamo il segmento dei vini come un business interamente a sé stante”. Le differenze competitive gradualmente emerse hanno condotto il gruppo a strutturarsi con una divisione wines autonoma, affidata dal 2007 a Gianni Marzagalli, che in precedenza era stato amministratore delegato di Sella&Mosca (Allegati 4 e 8).

L’imperativo della distribuzione commerciale
“Un aumento dei prodotti nella rete genera economie di scala. In questo caso risulta indispensabile sfruttare tali economie. Dal nostro punto di vista abbiamo cercato di utilizzare la nostra sovra-capacità distributiva. Le nostre acquisizioni sono state fatte per ottimizzare la nostra rete. Questo è stato il nostro principio guida”. L’affermazione del Chairman Luca Garavoglia sottolinea la centralità della distribuzione commerciale nel settore del beverage, e degli spirit in particolare. L’organizzazione distributiva di Campari venne articolata gradualmente in una struttura interna dedicata al mercato domestico e una preposta al mercato internazionale. A seconda del livello di massa critica e delle economie di scala conseguibili, la distribuzione può essere internalizzata (distribuzione diretta), esternalizzata (accordi) o condivisa con terzi (tramite joint-venture). Il Gruppo ha sviluppato una rete distributiva propria in Italia, Stati Uniti, Brasile, Germania, Svizzera, Austria, Belgio, Argentina e Cina, joint-venture distributive in Olanda, Gran Bretagna e Spagna e si affida a terzi in oltre 180 altri paesi. Il sistema distributivo si impernia sulla suddivisione di ogni mercato in due canali: on trade (esercizi pubblici dove si effettua somministrazione diretta delle bevande) e off trade (organizzazioni di distribuzione come supermercati, ipermercati, negozi, bottiglierie, etc.). In Italia Campari Italia S.p.A. gestisce direttamente la distribuzione di tutti i prodotti del Gruppo tranne i vini e Sella & Mosca S.p.A. gestisce la distribuzione dei vini Sella & Mosca e Teruzzi&Puthod. Il canale on trade rappresenta in Italia circa la metà del mercato nazionale, con una forte attenzione al contatto diretto con la clientela. Il Gruppo si avvale di filiali dirette in Italia, Stati Uniti, Brasile, Germania, Svizzera, Austria, Belgio, Argentina e Cina. Le filiali, oltre a gestire marchi di proprietà del Gruppo, distribuiscono alcuni importanti marchi di terzi. La penetrazione dei marchi Campari negli Stati Uniti tramite la capillare piattaforma distributiva di Skyy Spirits non ebbe inizialmente il successo sperato. Nella spiegazione offerta da Luca Garavoglia questo aspetto, poi superato, fu forse dovuto alla particolare struttura degli incentivi inizialmente offerti al management di Skyy: “La struttura di Skyy Spirits offriva un notevole incentivo al management, che era proprietario dell’11% dell’azienda. La struttura ha quindi inizialmente lavorato su ciò che era più semplice fare: era cioè molto più facile far crescere SKYY Vodka del 10%, che non portare Campari da cinquantamila a centomila casse. Oggi che questa situazione è stata corretta, avendo il management venduto le proprie posizioni, c’è un maggior allineamento di obiettivi. Che poi questo si traduca in un successo è tutto da vedere, perché il mercato è difficile. Soprattutto per marchi complessi come Campari bisogna anche avere fortuna e trovare la giusta chiave di marketing”. Tre joint-venture assicurano la distribuzione del portafoglio prodotti Campari in Olanda, in Gran Bretagna e in Spagna. Nel resto del mondo la distribuzione è affidata a distributori terzi e il Gruppo Campari opera

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attraverso il coordinamento di Campari International (Montecarlo) che presidia sia le attività di marketing che quelle di distribuzione. Col tempo la distribuzione ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel garantire il successo internazionale nel gruppo. Un numero crescente di scelte strategiche è stato di conseguenza orientato a rafforzare la distribuzione, soprattutto per garantire l’ingresso in nuovi e promettenti mercati geografici. Luca Garavoglia chiarisce così questo aspetto: “Quale può essere il criterio per fare delle acquisizioni? Il ranking in ordine di importanza è il seguente: per prima cosa compriamo marchi interessanti in sé, che se anche non hanno la forza, presi da soli, di sostenere una rete distributiva, potrebbero essere venduti attraverso distributori terzi in quanto sufficientemente particolari; secondo, acquisiamo marchi che ci rafforzano in un mercato in cui siamo già presenti; terzo, acquisiamo marchi che ci offrono delle nuove piattaforme distributive in paesi terzi. Nel tempo sono successe due cose, che hanno in alcuni casi modificato questa graduatoria di priorità, spingendo nella stessa direzione. La prima cosa è che si sono aperti nuovi mercati: Europa dell’est e Asia (quest’ultima in misura minore per noi, per un problema di portafoglio). In questi mercati i giochi si fanno adesso perché non ci sono prodotti consolidati e radicati. In questi casi il valore della distribuzione è fondamentale. Esempio, Cinzano: pur essendo un marchio inizialmente poco noto, grazie alla bravura del distributore è esploso in Russia, in termini di fatturato. Qui il ranking si è un po’ invertito. Ad esempio ora guardiamo a marchi rumeni locali, ma con una rete distributiva forte. La seconda cosa che è cambiata è che la capacità di distribuzione che noi non ritenevamo una risorsa scarsa, lo è diventata. Forse dal punto di vista quantitativo non si è ridotta, perché la concentrazione ha spostato numerosi prodotti sulle reti dei grandi player, lasciando, di fatto, spazio ad altri distributori. La rete distributiva di terzi si è invece impoverita a livello qualitativo. Prima esisteva la figura del distributore indipendente, che era un pluri-importatore, non aveva marchi propri e cercava di investire nel lungo periodo. Questa figura è scomparsa. Ora si può andare a farsi distribuire da un grande concorrente in Cile, ma distribuire Campari sarà l’ultima delle priorità per il distributore di questo concorrente. Questo evidenzia l’importanza che oggi occupa una rete distributiva propria”. Anche nell’esperienza di Stefano Saccardi, responsabile Legal Affairs & Business Development il peso della distribuzione è cresciuto nel tempo nella sfida competitiva tra i grandi player internazionali e quindi nelle logiche adottate da Campari nello scegliere i propri target di acquisizione: “Le principali sinergie che oggi noi ricerchiamo sono a livello di distribuzione. La distribuzione è una chiave nella nostra attività e quindi noi andiamo a cercare dei target che o ci consentono di arrivare in un determinato mercato a una massa critica tale da poter poi, mettendo insieme il business acquisito con il nostro business originario, sviluppare una nostra organizzazione distributiva. Questo è uno dei nostri grandi obiettivi. Oppure sono anche interessanti per noi dei business o marchi che possano essere messi su organizzazioni distributive esistenti, generando quindi rilevanti sinergie a livello di costo, perché sostanzialmente la rete distributiva di questi business è quella già esistente. Poi ovviamente c'è anche il versante produttivo, che però gioca un ruolo direi secondario”. Marketing Per Campari, l’offerta di prodotto acquista capacità di penetrazione grazie a consistenti investimenti pubblicitari che sostengono l’immagine dei marchi a livello mondiale. Le qualità del prodotto sono date per scontate. Secondo Luca Garavoglia: “Essendo questo un settore dove la performance di prodotto non c’è – o meglio: dire che un prodotto è più buono di un altro rischia di tradursi in un’affermazione soggettiva e vaga – il marketing diventa uno strumento indispensabile che fa la differenza”. Il marketing - centrale nel sostenere prodotti esistenti – lo è molto meno nel lanciarne di nuovi. Il Chairman di Campari sostiene addirittura che negli spirit non vi siano significative economie di scala di marketing nel lancio

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di nuovi prodotti, come dimostrano gli innumerevoli successi di piccoli player prima sconosciuti, e gli altrettanto numerosi insuccessi di nuovi prodotti lanciati dai grandi nomi del settore: “[Il marketing] non è sensibile alle economie di scala. [La distribuzione] è invece fortemente soggetta alle economie di scala. Questa differenza la si nota prendendo i grandi e i piccoli player presenti nel mercato. Molte volte i piccoli competitor hanno sovra performato. Tutti gli ultimi grandi successi del settore (senza nessuna eccezione) sono stati ottenuti dai piccoli player: Jägermeister, Grey Goose, Patron, Russian Standard … Certo, gran parte sono stati ottenuti nel mercato USA, che ha delle particolarità, ma sono tutti successi di piccole aziende. Le grandi aziende, invece, hanno migliorato magari i prodotti raffinandoli, ristrutturandoli, ma non li hanno mai creati. Se vogliamo trovare un grande prodotto creato da zero da un grande gruppo – Diageo – questo è Baileys, ma è un fenomeno che risale agli anni ’70 … Grey Goose, ad esempio, è stato un prodotto geniale. Una vodka francese (cosa mai sentita) venduta a 30 dollari (mai sentito neanche questo). Diageo a questo fenomeno ha risposto in maniera “tecnicamente” perfetta dal punto di vista del marketing lanciando Ciroc, altra vodka francese a base di uva, ma che tuttavia non ha soddisfatto le aspettative. Questo soprattutto perché i grandi gruppi sono talmente ingegnerizzati dal punto di vista del marketing che spesso lanciano dei prodotti teoricamente “perfetti”, ma che in realtà sono percepiti dal consumatore come distanti, perché mancano di heritage, di credibilità”. Non solo crescita: il ruolo della produzione nella discesa lungo la curva delle economie di scala Ma la strategia portata avanti dal team manageriale di Campari non è stata orientata esclusivamente all’espansione del fatturato, dei marchi e dei mercati. Il Gruppo ha prestato attenzione costante a tutte le righe del conto economico. Ciò ha significato nel tempo una graduale concentrazione dei siti produttivi finalizzata a cogliere economie di scala dal lato produttivo. Il CEO Marco Perelli-Cippo fu un costante fautore dell’attenzione al risultato operativo: “Di strategie da poter aggiungere per migliorare la crescita ce ne sono molte. Ma la condizione necessaria è che poi ogni strategia di crescita venga implementata. Vi è quindi anche la necessità di fondi per implementare le strategie. Non si può fare tutto insieme. Le risorse sono limitate per loro stessa natura. Bisogna scegliere dove investire, su quali prodotti e su quali progetti. Una crescita più dinamica della top-line si può certamente ottenere, ma a scapito del risultato operativo. Io credo che si debba perseguire un bilanciamento di crescita tra top-line e risultato operativo, altrimenti gli azionisti poi non sono contenti”. Pur essendo meno evidente e meno comunicata, la discesa lungo la curva delle economie di scala venne perseguita parallelamente alla crescita per linee esterne, e con sistematicità. Il Group Technical Director Roberto Bramani Araldi ricorda gli sforzi compiuti da Campari fin dall’acquisizione di Bols Italia: “Con Bols noi abbiamo acquisito molti stabilimenti, che gradualmente sono stati o ceduti insieme al relativo marchio, oppure integrati in altri luoghi produttivi. E’ il caso di molte produzioni tipiche, caratteristiche di quelli che erano gli stabilimenti preesistenti. Ad esempio abbiamo trasferito la produzione di Cynar, Biancosarti, Jägermeister nello Stabilimento di Novi, e lo Stabilimento di Termoli si è svuotato della sua realtà per mille e una ragione … perché è uno stabilimento collocato in un posto lontanissimo, con costi di trasporto ovviamente elevati … Abbiamo trasferito la produzione di una parte degli infusi di Crodino sullo Stabilimento di Sesto San Giovanni, che adesso si trasferiranno nello Stabilimento di Novi … Tutto questo ci ha portato a ottimizzare il sistema produttivo e il sistema dei costi”. Nel tempo, Campari ha quindi concentrato la produzione su undici stabilimenti (cinque in Italia, due in Brasile, uno in Francia, uno in Grecia, uno in Messico e uno in Argentina), una distilleria in Scozia e quattro cantine (due in Italia, una in Francia e una in Cina). Nell’Aprile del 2004 venne inaugurato il nuovo stabilimento italiano di Novi Ligure, che sostituì lo storico stabilimento di Sesto San Giovanni, avviato nel 1904 da Gaspare Campari. Il Gruppo Campari affida anche la produzione a licenziatari, che acquistano il preparato-base dall’azienda milanese e hanno l’obbligo di sottostare a stringenti controlli di qualità.
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L’adeguamento della struttura organizzativa
Il team manageriale di vertice è stato capace di costruire tra il 1994 e il 2008 una solida posizione competitiva nel settore del beverage. Le scelte di struttura organizzativa e di staffing del team manageriale si sono evolute parallelamente all’espansione del Gruppo (cfr. Allegati 4 e 8). La struttura organizzativa originaria (quella presente nel 1993 prima dell’acquisizione Bols) era una struttura funzionale semplice, che si è gradualmente evoluta, mantenendo però l’iniziale natura, come spiega Luca Garavoglia: “Nel 1992 non c’era una chart. L’organigramma non esisteva. C’era un signore e poi un pettine con 35 riporti: classico. Tra il 2002 e oggi non ci sono stati grandi cambiamenti. Perché, tuttavia, rimane un business semplice, quindi l’organizzazione rimane tendenzialmente funzionale, con qualche velatura di matrice. La supply chain in parte è una matrice, come anche il marketing”. Molte delle modifiche alla struttura, e le conseguenti aggiunte di organico, vennero attuate con anticipo rispetto al manifestarsi di pressanti esigenze, come ricordava il direttore del personale del Gruppo nel 2004: “Io credo che noi ci siamo strutturati negli ultimi sei o sette anni in modo importante e se vogliamo anche ampio e generoso. Ci siamo attrezzati prima. La scelta del ’96 di andare sulle acquisizioni aveva già previsto un piano sulle persone e sulla struttura, su alcune direzioni che non c'erano e che sono state appositamente create. Perché proprio il fare queste operazioni ti chiede competenze e conoscenze. Il fare uno stabilimento nuovo a Novi Ligure può sembrare una cosa semplice, affidando tutto a società specializzate. Però la società specializzata va controllata. Il nostro direttore operations che viene dalla Danone è stato preso per questo. Questa persona ha sempre fatto, spostato, movimentato produzioni … La stessa cosa vale per tutte le aree …Dopo aver analizzato possibilità di crescita interna (che per noi è sempre in cima ai pensieri), dove non è possibile realizzare crescita interna vado a comprare. E cosa scelgo? Scelgo persone che già abbiano esperienza e competenze per gestire queste fasi di crescita. E' meglio fare la campagna acquisti prima che non comprare a gennaio”. Una prima rilevante modifica alla struttura originaria, contemporanea all’acquisizione Bols, fu l’aggiunta di un Chief Financial Officer (CFO). La presenza di questa figura – ricoperta inizialmente da un manager ex-Martini, e dal giovane Paolo Marchesini dal 2000 a oggi – si rivelò essenziale al CEO Perelli-Cippo, in seguito all’esperienza dell’acquisizione Bols: “L’esperienza Bols è stata la prima. Era quella dove eravamo meno dotati di strutture per affrontare queste problematiche. Soprattutto quello che ci mancava allora era la figura del CFO. Allora avevamo un Direttore Amministrativo che, tra l'altro, era in quel momento anche azionista di minoranza e che non aveva la forma mentis per gestire questo tipo di operazione. Nel corso della trattativa ci siamo resi conto di avere una carenza strutturale in azienda che abbiamo sanato con l'assunzione di Gianfranco Lusso, ex-CFO del gruppo Martini. Lusso aveva esperienza di acquisizioni, perché Martini aveva fatto delle acquisizioni, anche se meno significative sul suo portafoglio”. In seguito – e sempre al fine di supportare la crescita esterna – tra il 1999 e il 2001 venne inserita la posizione di Legal Affairs & Business Development Officer, evidenziata nel chart organizzativo del 2002 (Allegato 4) e ricoperta da Stefano Saccardi, definito da Garavoglia “un uomo storico del Gruppo” (Allegato 8). Questa funzione si è nel tempo potenziata, a seguito del crescente numero di operazioni di M&A e ha gradualmente assunto il ruolo di contenitore delle competenze di Campari nella crescita per linee esterne, come descritto dal Chairman:

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“C’è una funzione che noi chiamiamo Legal&Business Development Officer. Tale funzione va anche a cercare le acquisizioni, ma in generale le fa e basta. L’ufficio si è potenziato molto nel tempo. In Italia una funzione pari alla nostra, focalizzata sullo sviluppo tramite acquisizioni, è poco diffusa. L’avranno 20 aziende. Le nostre acquisizioni non hanno dimensioni enormi, ma la loro peculiarità è che sono molto diversificate a livello geografico: Messico, Ucraina, Romania e Russia. Sono veramente complicate dal punto di vista dell’integrazione. L’individuazione [dei target] avviene molte volte tramite banche che vengono a presentarceli. Raramente dal mercato stesso, cioè dai contatti locali. L’ufficio, individuato l’obiettivo, porta avanti la negoziazione. Non gestisce però la fase post-acquisizione. La trasferisce alle strutture dedicate, con una ownership che può essere diversa. Una eventuale nuova acquisizione di una marca di tequila negli USA andrebbe sotto la proprietà di Campari America. Se fosse vino andrebbe al vino”. Tale funzione non si occupa però solo delle grandi operazioni di crescita esterna, ma segue anche operazioni minori e di valenza tattica, come spiega il responsabile Stefano Saccardi: “Noi abbiamo una funzione Business Development con una persona che è Business Development Manager, che risponde a me e che sostanzialmente si occupa di questi progetti di sviluppo. Non si tratta solo di acquisizioni. Peraltro le acquisizioni nel nostro caso non sono solo le operazione significative per dimensioni, ma c'è tutta un'operatività di operazioni di più piccola taglia che hanno valenze tattiche. Faccio un esempio: abbiamo comprato una società in Grecia all'inizio di quest'anno che ci servirà come piattaforma per produrre un prodotto che già avevamo in casa, che è Ouzo 12. La produzione era affidata a terzi. Abbiamo deciso per una serie di ragioni di riportare in casa la produzione e abbiamo identificato un sito produttivo acquistando la relativa società. Poi abbiamo operazioni di joint venture: qui business development vuol dire esaminare possibilità di joint venture o possibili distribuzioni di prodotti di terzi, o identificare aree di business per nuovi prodotti, nuove opportunità … è una funzione che esamina tutte le possibilità di business aggiuntivi … anche di sviluppo interno”. La funzione Legal Affairs & Business Development svolge poi un ruolo di facilitatore dei processi di integrazione delle acquisite, indirizzando sia le funzioni aziendali Campari, sia quelle delle aziende target per identificare i gruppi di interlocutori e il giusto equilibrio nella gestione dell'integrazione: “In questa fase la nostra funzione è molto presente, anche perché avendo gestito la trattativa per l'acquisizione, banalmente siamo quelli che conoscono meglio la realtà acquisita e le persone che ci lavorano. Ci poniamo quindi come tramite. Chi è stato acquisito ha spesso bisogno di indicazioni su come muoversi in un gruppo nuovo, su come approcciare certi problemi che probabilmente nella realtà in cui era prima venivano gestiti diversamente. Questo ruolo è a mio avviso importante per avere poi un'integrazione di successo; bisogna mediare le realtà, perché chi è acquisito ha dei dubbi su come muoversi. Ha delle sue esperienze pregresse, però entra a fare parte di un gruppo e quindi ha bisogno di esser orientato su quali sono gli interlocutori. Poi progressivamente il problema si stempera e si entra in un'operatività a regime” (Stefano Saccardi). Col tempo il Gruppo Campari ha quindi sviluppato alcune best practice nel valutare, eseguire e integrare le acquisizioni. Il ruolo dei vertici aziendali e della funzione Legal Affairs & Business Development è ovviamente centrale. Questa venne costituita proprio allo scopo di sollevare la struttura operativa dal compito gravoso di valutare i target acquisitivi, accelerando così tali operazioni, che devono quasi sempre essere concluse in tempi brevissimi 12 . Ma i collaboratori a vari livelli della struttura aziendale vengono sentiti prima di avviare nuove operazioni. Una pratica voluta dall’ex-CEO Perelli-Cippo: “Io non posso comperare un brand che mi deve distribuire il mio direttore vendite e non dirgli niente, se no poi quello alla fine mi dice “se hai comperato tu, la responsabilità è la tua”. La responsabilità la devo “spalmare” sulle strutture dell’azienda. Ognuno si deve prendere la sua parte di responsabilità. Se comperiamo un brand, tu mi devi dire: “sì questo brand sono capace di distribuirlo, sono capace di svilupparlo, raggiungerò questo tipo di risultati”. Il ruolo [delle altre funzioni] è prima di tutto di valutare la posizione del brand sul mercato, di verificare che il brand abbia ancora delle capacità di crescita, e che inserito nella nostra struttura possa essere gestito meglio che nella struttura esistente. Perché se il brand nella nostra struttura

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Intervista a Stefano Saccardi, Febbraio 2004. 17

ha la stessa performance che potrebbe avere nella struttura esistente, probabilmente lo stiamo pagando più di quello che vale. Se invece nella nostra struttura può svilupparsi più positivamente, ne avremo un vantaggio”. Nella valutazione dei target, dunque, la struttura di marketing e commerciale ha sempre avuto un ruolo diretto. Dati gli obiettivi strategici di molte della acquisizione effettuate dal Gruppo Campari, invece, non sempre la struttura produttiva viene coinvolta nella valutazione. Il Group Technical Director Roberto Bramani Araldi, in Campari dal 1967, ricorda con esattezza le operazioni nelle quali la sua funzione è stata coinvolta: “Direi che il ruolo della Direzione Tecnica viene sollecitato solo ed esclusivamente se c'è da svolgere una valutazione della parte industriale da acquisire. Ad esempio, certamente non ha avuto alcun ruolo nell'ultima acquisizione, di Aperol, né ha avuto alcun ruolo in quella di Zedda Piras e Sella&Mosca. Queste sono state operazioni condotte, secondo il mio modo di vedere, in funzione del marchio e dell'interesse che questo determinato settore merceologico aveva per la società, non partendo da quello che poteva essere l'interesse di carattere industriale. Sono stato invece coinvolto pesantemente in prima persona quando c'è stata l'acquisizione di Cinzano. Allora l'azienda aveva tutta una serie di opzioni di acquisizione, perché c'era una serie di marchi che Diageo aveva posto in vendita, e l’aspetto produttivo fu in alcuni casi rilevante …Posso dire che anche se una determinata struttura può essere suscettibile di investimenti industriali di un certo peso, credo proprio, ma questa è una valutazione molto serena, che sia molto più importante valutare le sinergie di carattere commerciale, di sviluppo generale della società”. La struttura organizzativa di Campari gestisce quindi in modo differenziato i processi di integrazione delle società acquisite. Grazie alla sua esperienza in numerose operazioni, il CEO Marco Perelli-Cippo ha ricostruito così le principali logiche utilizzate: “Gli esempi di modalità di integrazione sono vari. Sky è l'acquisizione di una Società che opera nel mercato statunitense dove noi non avevamo una struttura; quindi quella diventa la struttura di base. Deve essere integrata in termini di comunicazione, ma deve essere mantenuta autonoma in termini di gestione del mercato. Devono convergere i sistemi informativi, in modo che possano colloquiare tra di loro; deve nascere un sistema di controllo di gestione, ma deve rimanere un’autonomia gestionale con una responsabilità sul management locale. Un altro esempio è quello di Cinzano, dove abbiamo comperato un brand senza acquisire le strutture, quindi è stato integralmente inserito nella nostra struttura. Un altro caso può essere quello dell'acquisizione delle marche brasiliane. In Brasile avevamo già una struttura e tutte le attività brasiliane sono state integrate in quella. C'è poi il caso di ZeddaPiras e Sella & Mosca, dove certamente c’era una nuova realtà, quella vinicola, che deve mantenere una sua autonomia. C’è invece il campo liquoristico, che potrebbe essere integrato, ma dove la regionalità e l'importanza regionale del marchio fa sì che la si tenga e la si debba tenere separata per non andare a influire negativamente sulla percezione di valore della marca nel suo mercato di riferimento. Ci sono poi realtà come Barbero, dove si è puntato più sull’acquisire una struttura valida e quindi sulla non-integrazione. Naturalmente la non integrazione non vuol dire non integrazione totale: vuol comunque dire una integrazione del CdA Barbero con nostri uomini; vuol dire l’inserimento in Barbero dei nostri sistemi informativi in modo che ci possa essere comunicazione; vuol dire attribuire a Barbero la possibilità di avvalersi delle nostre strutture per tutto quello che noi possiamo offrire: il marketing centrale può essere un coordinatore di tutte le unità di marketing periferiche; la gestione finanziaria viene integrata totalmente … l’attività industriale rimane più autonoma; l'attività industriale si integra solo quando c'è un vantaggio integrale. Infine, il caso di Riccadonna è diverso: integriamo la produzione, integriamo la commercializzazione, ma il caso di Riccadonna è un altro caso in cui acquisiamo un brand e non un'Azienda e quindi dobbiamo integrare assolutamente tutto”.

Tensione continua: Le operazioni più recenti e le sfide future
L’11 novembre 2008 il comunicato stampa era ormai pronto per essere inviato alle agenzie. Nella prima pagina il CEO riassumeva il messaggio principale trasmesso nel corso della conference call durante la quale il management di Campari aveva presentato ad analisti, investitori e giornalisti i risultati dei primi tre trimestri 2008 e l’ultima acquisizione effettuata dal Gruppo:
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“Nei primi nove mesi del 2008 abbiamo conseguito risultati positivi, nonostante le condizioni sfavorevoli dei mercati … Rimaniamo ottimisti sulle prospettive di crescita del nostro Gruppo nel medio-lungo termine. Inoltre, siamo soddisfatti di annunciare l’acquisizione di Destiladora San Nicolas, confermando in questo modo il nostro forte e immutato impegno sul fronte della crescita esterna, strategica per noi”. Nonostante i risultati positivi, il tono rassicurante e la positiva risposta da parte degli analisti e degli operatori, le sfide per il dinamico team manageriale del Gruppo Campari parevano intensificarsi. Una percezione condivisa dal Chairman Luca Garavoglia: “Questa tensione continua e l’azienda è sempre, diciamo, potenzialmente a rischio. Questo è un settore dove poche imprese sono fallite. Il problema è se mai quello di non essere al passo competitivamente. Poi ci sarà sempre per gli azionisti una via d’uscita, perché si potrà sempre diventare target, invece che acquisitori. Questa non è la nostra ottica strategica, ma il problema rimane. Oggi siamo lontanissimi dall’aver raggiunto una situazione in cui si possa affermare che la sfida competitiva è vinta e che si tratta semplicemente di amministrare l’esistente”. Le minacce innescate dalla crisi economica e finanziaria in corso aprivano nuovi orizzonti di sfida, lungo i quali i sentieri di espansione futura del Gruppo restavano ancora da tracciare.

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Allegato 1 - I concorrenti nel settore degli spirit, 1994 e 2007

N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 -

Concorrenti Idv-Gran Metropolitan Seagram United Distillers Allied Domecqa Bacardi-Martini Moet Hennessy Pernod Ricard Remy Cointreau American Brands Brown Forman Campari

Fatt. '94 (mil. $) 5.327 5.061 4.262 3.341 2.600 2.285 1.519 1.344 1.268 1.138 265

Margine (% fatt.) 15,4 16,0 25,9 20,4 15,8 24,0 17,6 12,1 17,4 21,4 10,9

a: In precedenza, Allied Lyons Fonte: elaborazione su dati Drinks International Bulletin

Dati consolidati Euro/mln Diageo Plc Pernod Ricard Bacardi-Martini B.V. Brown-Forman Campari Remy Cointreau

Ricavi 2007 11.106 6.463 2.953 2.047 957 796 2006 10.478 6.066 2.799 1.760 932 810

Risultato netto 2007 2006 2.310 2.836 831 639 63 105 292 288 125 117 (23) 78

Fonte: Amadeus; per Brown-Forman e Campari fonte bilanci consolidati Nota: Allied-Domecq è stata acquisita da Pernod Ricard

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Allegato 2 - Composizione del fatturato consolidato per area geografica, segmento e prodotto, 2007 (Fonte: Presentazione aziendale, 18 marzo 2008)

Breakdown by region
RoW e Duty Free; 4,6%

Breakdown by segment

Soft drinks; 10,7%

Altro; 1,7%

Europa; 20,6% Italia; 41,1%
Wines; 15,8%

Americhe (1); 33,7%
(1) include:USA 21,0%; Brasile 7,3%; Altri 1,4%

Spirits; 71,8%

Breakdown by product
Altro; 2% Altri Soft Drinks (3); 4% Altri Wines (2); 4% Campari (1); 13%

Altri Spirits (1); 19% Sella & Mosca (2); 2% Cynar (1); 2% Glen Grant (1); 2% Cinzano sparkling wines (2); 4% Brazilian brands (1); 5% Aperol (1); 5%

SKYY (1); 12%

CampariSoda (1); 8%

Crodino (3); 7% tequila 1800 (1); 6% Cinzano vermouths (2); 6%

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Allegato 3. Il settore del beverage – spirit, wines e soft drinks.
Il settore del beverage (a sua volta classificato all’interno del settore dei beni di largo consumo) è caratterizzato da un’articolata segmentazione interna. Superalcolici, birra, wine e soft drink presentano a loro volta comportamenti tra loro diversi, derivanti principalmente dalle differenti caratteristiche della domanda. Occasioni di consumo, fattori di trend, condizioni climatiche e altre dinamiche influenzano le tendenze e i dati di consumo, che variano non solo con riferimento ai diversi prodotti, ma anche relativamente alle aree geografiche nelle quali avviene il consumo. L’estrema articolazione del settore dei “superalcolici” per tipo di prodotto e per tipologia di consumo toglie significatività a una valutazione unitaria del mercato stesso. Operando una segmentazione del mercato in base alle caratteristiche dei prodotti (dipendenti dalle tecnologie, dalle materie prime e dal know-how produttivo utilizzati) e al momento di consumo (dipendente dalle funzioni d’uso e dai gruppi di clienti serviti) è possibile individuare due macro-comparti: liquori e acquaviti. • Liquori: Nel primo settore sono compresi gli amari-chine-fernet e i liquori dolci. • Spirit: Il secondo settore, comunemente noto con il termine spirit , è solitamente suddiviso in brown spirit (principalmente whisky e brandy, ma anche cognac, calvados, e armagnac) e white spirit (vodka, gin, rhum, tequila e acquavite). Per quanto riguarda le caratteristiche dei prodotti, il settore dei liquori comprende le bevande ottenute per infusione e miscelazione. Le acquaviti, invece, sono bevande ottenute mediante distillazione. La differenza tra brown e white spirit sta nel fatto che i primi richiedono necessariamente un periodo minimo d’invecchiamento (il loro colore ambrato e tendente al marrone è dovuto infatti all’invecchiamento del distillato in botti di legno). I white spirit, invece, sono ottenuti mediante distillazione e non sono soggetti alla fase di invecchiamento. Quanto alle funzioni d’uso, i liquori sono fondamentalmente utilizzati come digestivi al termine dei pasti. I brown spirit sono consumati per soddisfare i bisogni di tipo edonistico (autogratificazione personale), mentre i white spirit sono consumati come elemento di aggregazione sociale; essi sono infatti bevuti sia “lisci” sia “miscelati” come basi o correttivi per cocktail e long drink. I segmenti della birra e dei soft drink, infine, sono presidiati da pochi players globali (rispettivamente InBev, SABMiller e Heineken, e Coca Cola, Pepsi Cola e Cadbury Schweppes), affiancati da un elevato numero di operatori locali di medie e piccole dimensioni che si concentrano su specifici segmenti di mercato. Con il termine “aperitivi” si fa invece riferimento a 4 categorie di prodotti, individuabili sulla base delle materie prime e delle tecnologie di produzione impiegate: 1. vermouth (vini liquorosi e aromatizzati, ottenuti aggiungendo a un vino bianco o a un mosto concentrato alcol finissimo a 95°-96°, saccarosio, droghe aromatiche, amaricanti e caramello); 2. aperitivi alcolici (assimilabili ai liquori, in quanto ottenuti con l’aggiunta di alcol e di zucchero a infusioni di erbe aromatiche, ma con gradazione alcolica contenuta); 3. aperitivi sodati (aperitivi poco alcolici, diluiti con non oltre il 50% di acqua gassata e imbottigliati in recipienti non superiori a un decilitro); 4. aperitivi analcolici (la cui tecnologia di produzione è assimilabile a quella dei soft drinks, consistente in: miscelazione di acqua e sciroppo, saturazione della miscela con CO2, imbottigliamento e pastorizzazione).

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Allegato 4. Gruppo Campari – La struttura organizzativa nel tempo (Fonte: Gruppo Campari)
Organigramma 1993.

CHIEF EXECUTIVE OFFICER Marco P. Perelli-Cippo

DIREZIONE CED

DIREZIONE ACQUISTI

DIREZIONE LEGALE

Carlo Meroni

Angelo Croci

Stefano Saccardi

DIREZIONE PERSONALE

DIREZIONE TECNICOIMMOBILIARE Alberto Passerini

DIREZIONE SERVIZIO CONTABILITA’ Giovanni Sciani

DIREZIONE MARKETING Mario Nascimbene

Edoardo Gilardi

DIREZIONE VENDITE ITALIA Gianfranco Cornero

DIREZIONE VENDITE ESTERO Enzo Visone

DIREZIONE SERVIZIO ESPORTAZIONE Oscar Braccelarghe

DIREZIONE FINANZA E CONTROLLO Paolo Foffano

DIREZIONE TRASPORTI E ASSICURAZIONI Fausto Marchesi

Organigramma 2002
CHAIRMAN Luca Garavoglia

CHIEF EXECUTIVE OFFICER Marco P. Perelli-Cippo

CHIEF FINANCIAL OFFICER Paolo Marchesini

LEGAL AFFAIRS & BUSINESS DEVELOPMENT OFFICER Stefano Saccardi

CHIEF OPERATING OFFICER ITALIA Jörn Böttger

CHIEF OPERATING OFFICER INTERNATIONAL Enzo Visone

Organigramma 2008
CHAIRMAN Luca Garavoglia

CHIEF EXECUTIVE OFFICER Robert Kunze-Concewitz

CHIEF FINANCIAL OFFICER Paolo Marchesini

LEGAL AFFAIRS & BUSINESS DEVELOPMENT OFFICER Stefano Saccardi GROUP HUMAN RESOURCES Giorgio Pivetta GROUP PRODUCT SUPPLY CHAIN Franco Peroni

GROUP MARKETING

GROUP INFORMATION MANAGEMENT Roberto Gollin

Cesare Vandini

BUSINESS UNIT ITALY Franco Peroni

BUSINESS UNIT BRAZIL Paolo Perego

BUSINESS UNIT USA Gerry Ruvo

BUSINESS UNIT INTERNATIONAL Enzo Casati

BUSINESS UNIT GERMANYSWITZERLANDAUSTRIA Stefan Jensen

BUSINESS UNIT WINES Gianni Marzagalli

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Allegato 5 – Conto Economico consolidato riclassificato a ricavi e costo del venduto, 19982007
CONTO ECONOMICO CONSOLIDATO milioni di Euro VENDITE Ricavi netti di vendita COSTO DEL VENDUTO Total costo del venduto MARGINE LORDO COSTI E SPESE OPERATIVE Spese di pubblicità e promozione Spese di vendita e distribuzione op. Ammortamento avviamento e marchi Proventi (oneri) non ricorrenti Totale costi e spese operative RISULTATO OPERATIVO = EBIT ALTRI RICAVI (COSTI) Proventi (oneri) finanziari Interessi di minoranza Totale altri ricavi (costi) UTILE PRIMA DELLE IMPOSTE Imposte sul reddito UTILE NETTO DELL'ESERCIZIO EBITDA 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 ITGAAP ITGAAP ITGAAP ITGAAP ITGAAP ITGAAP ITGAAP IAS/IFRS IAS/IFRS IAS/IFRS 333,5 366,0 434,0 494,3 660,6 714,1 779,2 809,9 932,4 957,5

(123,2) 210,3

(154,5) 211,5

(181,2) 252,9

(211,5) 282,7

(276,3) 384,3

(301,2) 412,9

(316,6) 462,6

(345,1) 464,8

(410,2) 522,2

(407,2) 550,3

(62,4) (43,6) (28,8) (3,5) 0,0 (138,3) 72,0

(62,4) (43,6) (30,6) (7,9) 0,0 (144,5) 66,9

(79,6) (50,5) (28,5) (7,9) (1,1) (167,5) 85,3

(91,3) (55,0) (30,8) (11,4) (5,6) (194,1) 88,6

(130,8) (72,7) (37,5) (27,8) (0,8) (269,6) 114,7

(143,7) (76,1) (40,0) (28,5) (2,5) (290,7) 122,2

(159,5) (83,9) (51,5) (35,1) (2,8) (332,8) 129,8

(139,7) (90,3) (55,7) 4,7 (281,0) 183,8

(163,2) (102,2) (65,5) (0,8) (331,7) 190,5

(174,6) (105,1) (67,2) (2,8) (349,7) 200,6

11,4 (0,1) 11,4 83,4 (22,1) 61,3 85,6

11,2 0,0 11,2 78,1 (23,7) 54,4 86,4

12,1 0,1 12,1 97,5 (44,6) 52,8 104,7

5,3 0,0 5,4 94,0 (30,6) 63,4 114,5

8,8 (15,8) (7,1) 107,6 (20,9) 86,7 160,0

15,9 (17,9) (1,9) 120,3 (40,4) 79,8 169,2

(6,6) (17,0) (23,6) 106,2 (36,9) 69,3 183,6

(9,6) (5,0) (14,6) 169,2 (51,2) 118,0 201,3

(15,0) (3,2) (18,2) 172,3 (55,2) 117,1 209,7

(17,3) 0,0 (17,3) 183,3 (58,1) 125,2 220,1

Nota: Nel 2005 avviene il passaggio agli IAS/IFRS;gli intangibles a vita utile indefinita non vengono più ammortizzati

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Allegato 6(a) – Stato Patrimoniale consolidato riclassificato (attività), 1998-2007
ATTIVITA' milioni di Euro ATTIVITA' CORRENTI Cassa e banche Titoli negoziabili Crediti finanziari, quota a breve Crediti commerciali Crediti verso l'Erario Imposte anticipate Rimanenze Altre attività correnti TOTALE ATTIVITA' CORRENTI 1998 ITGAAP 152,1 47,0 3,5 61,6 17,0 0,0 30,8 9,2 321,1 1999 ITGAAP 134,2 19,1 3,3 110,3 5,3 5,2 46,9 14,7 339,1 2000 ITGAAP 167,7 48,9 2,6 85,0 7,7 6,7 49,7 13,7 382,1 2001 ITGAAP 177,8 46,4 0,3 110,8 5,8 6,6 64,4 14,6 426,5 2002 ITGAAP 103,5 4,2 0,2 139,2 12,8 10,2 94,9 19,5 384,5 2003 ITGAAP 133,6 1,9 0,8 174,2 9,9 15,8 106,4 29,0 471,5 2004 ITGAAP 239,5 6,5 0,5 173,1 10,4 15,2 114,4 27,4 587,0 2005 IAS/IFRS 220,0 27,6 3,2 237,4 12,2 16,5 135,3 12,2 664,2 2006 IAS/IFRS 239,0 1,3 1,0 257,1 9,6 18,5 169,9 31,7 728,1 2007 IAS/IFRS 199,8 0,0 2,9 280,0 6,6 15,9 166,9 30,5 702,6

Immobilizzazioni materiali nette Attività biologiche Investimenti immobiliari Imm. immateriali, avviamento e marchi Partecipazioni Altre attività non correnti Azioni proprie TOTALE ATTIVITA'

90,3

89,2

88,1

91,0

144,2

152,4

156,9

26,0 1,7 11,5 0,0 450,5

107,2 17,7 8,4 0,0 561,7

100,3 17,1 4,5 0,0 592,1

170,9 18,8 3,5 31,0 741,8

453,2 8,7 3,5 31,0 1.025,1

571,6 7,8 5,8 31,0 1.240,1

549,1 0,6 5,0 29,8 1.328,4

152,5 13,5 4,6 754,4 0,6 11,1

146,3 15,0 4,0 820,5 0,5 11,6

155,4 15,9 4,0 817,3 0,6 12,5

1.600,9

1.726,1

1.708,3

Nota: Nel bilancio IAS/IFRS le Azioni Proprie sono iscritte a deduzione del Patrimonio Netto

Allegato 6(b) – Stato Patrimoniale consolidato riclassificato (passività), 1998-2007
PASSIVITA' E PATRIMONIO NETTO milioni di Euro PASSIVITA' CORRENTI Debiti verso banche e altri debiti fin. a breve Leasing immobiliare, quota corrente Private placement, quota corrente Debiti verso fornitori Debiti per imposte Altre passività correnti TOTALE PASSIVITA' CORRENTI PASSIVITA' NON CORRENTI TFR e altri fondi pensione Debiti verso banche non correnti Leasing immobiliare, al netto della quota corrente Prestiti obligazionari, derivati e altri debiti finanziari Imposte differite Altre passività non correnti Interessi di minoranza TOTALE PASSIVITA' NON CORRENTI TOTALE PASSIVITA' PATRIMONIO NETTO Capitale Riserve e utile TOTALE PATRIMONIO NETTO TOTALE PASSIVITA' E PATRIMONIO NETTO 1998 ITGAAP 1,9 1,5 0,0 42,7 10,4 19,6 76,1 1999 ITGAAP 13,0 1,6 0,0 85,7 17,4 20,4 138,1 2000 ITGAAP 11,5 1,6 0,0 69,4 22,4 18,4 123,3 2001 ITGAAP 112,3 1,8 0,0 88,3 22,5 19,9 244,8 2002 ITGAAP 120,1 2,0 0,0 135,5 21,3 31,1 310,0 2003 ITGAAP 30,1 0,0 0,0 127,6 32,9 45,2 235,8 2004 ITGAAP 56,7 2,9 2,9 142,1 20,5 45,0 270,1 2005 IAS/IFRS 117,5 3,1 9,4 150,2 25,1 34,8 339,9 2006 IAS/IFRS 227,8 3,1 0,0 161,9 26,7 36,3 455,8 2007 IAS/IFRS 124,0 3,2 8,4 156,6 54,6 39,4 386,1

11,9 0,0 18,2 0,0 0,4 6,5 1,1 38,2 114,3

11,6 0,0 17,1 0,0 3,9 17,1 5,0 54,8 192,9

12,5 0,0 15,2 0,0 4,7 32,7 5,0 70,1 193,4

10,9 0,0 13,5 0,0 6,1 34,0 2,3 66,7 311,5

13,1 4,9 11,4 164,7 9,6 22,5 10,0 236,2 546,2

15,6 3,9 0,0 394,2 16,0 21,8 4,7 456,1 691,9

15,2 3,6 22,0 381,6 17,9 17,8 4,3 462,3 732,4

14,3 26,7 19,0 451,6 43,3 10,1 2,2 567,3 907,2

12,6 1,2 16,0 375,7 56,1 10,9 1,9 474,4 930,2

11,7 1,8 12,9 345,6 60,7 11,0 1,9 445,6 831,7

7,5 328,7 336,2 450,5

7,5 361,3 368,8 561,7

29,0 369,7 398,7 592,1

29,0 401,3 430,3 741,8

29,0 449,9 478,9 1.025,1

29,0 519,2 548,2 1.240,1

29,0 566,9 596,0 1.328,4

29,0 664,6 693,7 1.600,9

29,0 766,8 795,9 1.726,1

29,0 847,6 876,6 1.708,3

25

Allegato 7 – Cash flow consolidato, 1998-2007
CASH FLOW CONSOLIDATO milioni di Euro FLUSSO DI CASSA GENERATO DALLE ATTIVITA' OPERATIVE Utile ante imposte Rettifiche per riconciliare l'utile al flusso di cassa generato dalle attività operative: Ammortamenti Svalutazione immobilizzazioni materiali Imposte differite Accantonamento imposte per contenzioso Plusvalenze da cessione immobilizzazioni Plusvalenze da cessione titoli Variazione f.do TFR e altri fondi Altre voci che non hanno determinato movimenti di cassa Altre variazioni in crediti e debiti, escluso capitale circolante Variazioni crediti e debiti fiscali, anche differiti Imposte di esercizio 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

83,4

78,1

97,5

94,0

107,6

120,3

106,2

169,2

172,3

183,3

13,6 4,2 0,0 (1,1) (4,6) 0,4 2,0 0,4 0,0 (13,9) 1,0

19,5 0,8 0,0 (1,4) 0,0 (0,3) 3,7 5,4 0,0 (6,6) 21,0 7,2

19,3 2,5 17,0 (7,2) 0,0 0,9 2,9 0,3 0,0 (32,1) 3,6 3,7

25,8 5,5 0,0 (4,3) 0,0 (1,6) 6,4 (2,2) 0,0 (30,4) (0,7) (5,0)

45,3 (6,2) 0,0 (5,7) 0,0 0,6 (5,7) (10,4) 0,0 (29,5) (11,7) 20,2

47,0 3,2 0,0 (34,4) 0,0 (4,0) 10,5 (0,5) 5,3 (40,3) (13,2) (30,8)

53,8 5,2 0,0 (1,6) 0,0 (2,6) 1,8 1,7 (16,1) (37,2) 5,0 4,3

17,4 (0,1) 19,3 0,0 (2,3) 0,0 (5,8) (1,7) (1,5) 3,9 (53,0) (23,8) (50,2)

22,5 (0,2) 13,0 0,0 (11,6) 0,0 1,5 (1,1) (3,6) 0,2 (55,4) (34,7) (25,5)

19,5 0,0 0,0 0,0 (1,5) 0,0 0,5 (0,4) 20,0 0,0 (39,5) (1,4) (29,3)

Variazione del capitale circolante netto operativo

0,1

TOTALE FLUSSO DI CASSA DA ATTIVITA' OPERATIVE FLUSSO DI CASSA ASSORBITO DALLE ATTIVITA' DI INVESTIMENTO Acquisizione immobilizzazioni materiali, immateriali e marchi Variazione debiti fornitori per immobilizzazioni (Novi Ligure) Proventi da cessione immobilizzazioni materiali Acquisto di società o quote di controllate Variazione netta partecipazioni Variazione netta titoli Variazione crediti finanziari Altri, netti Acquisto/vendita azioni proprie TOTALE FLUSSO DI CASSA PER LE ATTIVITA' DI INVESTIMENTO FLUSSO DI CASSA ASSORBITO DALLE ATTIVITA' DI FINANZIAMENTO Variazione netta debiti finanziari a medio/lungo Variazione netta debiti verso banche a breve termine Variazione altri debiti finanziari Dividendi distribuiti TOTALE FLUSSO DI CASSA PER ATTIVITA' DI FINANZIAMENTO Differenze cambio e altri movimenti

84,4

106,3

104,8

88,2

116,1

75,9

115,2

95,2

112,1

152,6

(14,6) 0,0 4,8 0,0 0,0 (5,6) 2,0 0,0 0,0

(21,0) 0,0 2,6 (72,9) (13,7) 27,8 1,9 (0,2) 0,0

(14,8) 0,0 10,0 (10,1) (0,3) (29,8) 2,5 0,0 0,0

(14,8) 0,0 7,8 (112,6) (2,7) 2,5 3,0 0,0 (31,0)

(58,2) 17,0 8,8 (358,0) 1,3 42,1 0,5 1,7 0,0

(35,8) (17,0) 40,3 (155,6) 0,3 2,3 0,6 0,7 0,0

(30,2) 0,0 2,6 (2,8) 0,2 (4,6) 1,0 (0,4) 1,2

(18,8) 0,0 3,8 (130,7) 4,0 0,0 0,0 4,0 0,0

(18,8) 0,0 13,1 (179,4) 0,0 0,0 0,0 (13,0) 33,0

(63,0) 0,0 2,6 0,0 0,0 1,0 0,0 3,7 1,5

(13,4)

(75,4)

(42,5)

(147,8)

(344,7)

(164,6)

(33,1)

(137,7)

(165,2)

(54,2)

(1,7) (39,2) 0,0 (26,2)

(1,5) (21,7) 0,0 (25,5)

(1,7) (1,6) 0,0 (25,5)

(1,6) 98,1 0,0 (25,5)

166,6 7,8 3,3 (24,7)

243,7 (90,0) 0,0 (24,7)

25,2 26,6 0,0 (24,7)

17,7 57,3 4,0 (28,1)

(5,7) 96,4 (23,6) (28,1)

(12,4) (91,0) 0,0 (29,0)

(67,2) 0,0

(48,7) 0,0

(28,7) 0,0

70,9 (1,4)

153,1 1,2

129,1 (10,2)

27,1 (3,3)

50,8 (2,8)

39,0 8,0

(132,4) (5,2)

AUMENTO (DIMINUZIONE) NETTA CASSA E BANCHE

3,8

(17,9)

33,6

10,0

(74,3)

30,1

105,9

5,5

(6,1)

(39,2)

CASSA E BANCHE ALL'INIZIO DELL'ESERCIZIO CASSA E BANCHE ALLA FINE DELL'ESERCIZIO

148,3 152,0

152,0 134,2

134,2 167,7

167,7 177,8

177,8 103,5

103,5 133,6

133,6 239,5

239,5 245,1

245,1 239,0

239,0 199,8

26

Allegato 8 – Il Management Team del Gruppo Campari nel 2008.
Bob Kunze-Concewitz Chief Executive Officer

Bob Kunze-Concewitz, austriaco, è nato a Istanbul (Turchia) il 7 aprile 1967. Laureato presso la Hamilton College (USA) e con un master presso la Manchester Business School, Bob ha ricoperto numerosi incarichi di responsabilità a livello internazionale nel marketing di Procter & Gamble, fino a diventare Group Marketing Director della divisione Global Prestige Products. A Ottobre 2005 è entrato a far parte del Gruppo Campari in qualità di Group Marketing Director, implementando numerose nuove strategie di marketing per i brands internazionali del Gruppo. A Maggio 2007 è stato nominato Group Chief Executive Officer.

Paolo Marchesini Chief Financial Officer Paolo Marchesini è nato a Milano il 15 marzo 1967. Laureato in Economia e Commercio, è entrato nel Gruppo nel 1997, ricoprendo vari incarichi nell'area finanza. Dal 2000 ha assunto l'incarico di Chief Financial Officer. In precedenza ha svolto la libera professione di dottore commercialista.

Stefano Saccardi Officer Legal Affairs and Business Development Stefano Saccardi è nato a Milano il 12 maggio 1959. Laureato in Giurisprudenza, fa parte del Gruppo dal 1985, ricoprendo vari incarichi nell'area legale, societaria e di public affairs. Dal 1999 ha assunto il ruolo di Officer Legal Affairs e dal 2001 ha assunto anche la responsabilità di Business Development.

Paolo Perego Managing Director Business Unit Brasile Paolo Perego è nato a Monza il 13 novembre 1963. Entrato nel Gruppo Campari nel 1990, ha maturato una vasta esperienza manageriale, ricoprendo diverse posizioni nell'area internazionale del Gruppo. In seguito al ruolo di Market Development Director, nel 2007 è stato nominato Managing Director Brazil.

Stefan Jensen Managing Director Business Unit Germania - Svizzera - Austria Stefan Jensen è nato ad Augsburg (Germania) l’8 agosto 1962. Laureato in Economia e con 13 anni di esperienza in marketing e vendite presso Unilever, è entrato a far parte del Gruppo Campari a settembre 2002 come Managing Director Campari Deutschland GmbH. Nel giugno del 2005 ha assunto la carica di Managing Director Business Unit Germania-Svizzera.

27

Enzo Casati Managing Director Business Unit International Enzo Casati è nato a Milano il 14 gennaio 1963, laureato in Economia e Commercio presso l'Università Bocconi, in precedenza ha lavorato per 3M. In Campari ha ricoperto varie cariche a livello internazionale. Da maggio 2004 ricopre la carica di Managing Director Business Unit International.

Franco Peroni Managing Director Business Unit Italia – Group Product Supply Chain Director Franco Peroni è nato a Roma il 10 ottobre 1966. Laureato all’Università di Pennsylvania (USA) in Ingegneria Meccanica, ha maturato esperienze manageriali in Francia, Gran Bretagna e Italia nel settore delle bevande. Successivamente ha ricoperto il ruolo di direttore generale Birra Peroni Industriale SpA, fino a dicembre 2003. A gennaio 2004 è entrato a far parte del Gruppo Campari, dove, da aprile, ha assunto la carica di Managing Director Italy. A giugno 2007 ha assunto anche il ruolo di Group Product Supply Chain Director.

Gerry Ruvo Managing Director Business Unit USA Gerard Ruvo è nato a New York e si è laureato presso la State University di New York a Cortland. Ha oltre 30 anni di esperienza nel settore delle bevande alcoliche, tra cui Gallo e Monsieur Henri (Stolichnaya/Pepsico). Ruvo è entrato a far parte di SKYY nel 1998 per costruire un'unica struttura di vendite e dirigere le vendite di SKYY in forte crescita. Da aprile 2005 è Presidente e CEO di Skyy Spirits.

Gianni Marzagalli Managing Director Business Unit Wines Gianni Marzagalli è nato a Milano il 28 agosto 1941. Inizia la sua attività lavorativa nel 1961 nel settore agricoltura del Gruppo Saffa, diventando Direttore Generale e membro del Consiglio della Immobiliare Agricola Vittoria nel 1977. Acquisisce importante esperienza internazionale come direttore Agro Invest –USA tra il 1977 e il 1982. Diventa Amministratore Delegato di Sella&Mosca S.p.A nel 1983 e di Zedda Piras nel 1994, acquisite nel 2002 dal Gruppo Campari. Dal 2007 Marzagalli ricopre il ruolo di Managing Director della neo costituita Divisione Vini del Gruppo.

Fonte: www.camparigroup.com

28

Allegato 9 – Il risultato delle strategie di acquisizione e di espansione del portafoglio prodotti: i marchi del Gruppo (di proprietà e in licenza), anno 2008
Brand di proprietà Aperol, Aperol Soda, Barbieri Punch, Biancosarti, Cabo Wabo, Campari, Campari Mixx (RtD), Campari Soda, Cinzanino, Cynar, Diesus, Dreher, Drury's, Glen Grant, Mapomapo, Old Eight, Old Smuggler, Ouzo 12, Rum des Antilles, Skyy Infusions, Skyy Vodka, Skyy 90, Skyy Blue (RtD), Zedda Piras, XRated, Jean Marc XO Catai, Cinzano, Cinzano Spumanti, Enrico Serafino, Liebfraumilch, Mondoro, Riccadonna, Sella & Mosca, Teruzzi & Puthod Crodino, Crodo, Lemonsoda, Oransoda, Pelmosoda, Tonicsoda Principali brand in licenza Carolans Hirish Cream, Frangelico, Auchentoshan Single Malt Scotch Whisky, Bowmore Single Malt Scotch Whisky, Cutty Sark, Flor de Cana Rum, Glen Garioc Single Malt Scotch Whisky, Irish Mist, Midori Melon Liqueur, The Glenrothes, Tipperary Cream, Yamazaki Single Malt Whisky, Zen Green Tea Liqueur, Courvoisier Cognac, Frangelico, Hine Cognac, Laphroaig Whisky, Larios, Porto Ferreira, Teachers, Cachaca 51, Grand Marnier, Imperia Vodka, Russian Standard Original Vodka, Russian Standard Platinum Vodka, Finlandia Vodka, , Glenfiddich, Grant's, Jack Daniel's, Jack Daniel's Single Barrel, Jaegermeister, Midori Melon Liqueur, Rum Santa Teresa, Southern Comfort, Tuaca, Tullamore Dew Hirish Whiskey, Woodford Reserve, Borghetti, Branca Menta, Candolini, Fernet Branca, Wodka Gorbatschow, Gran Centenario Tequila, Cuervo Tequila, 1800 Tequila, Gentlemen Jack Akadama Plum, Liebfraumilch, Henkell Trocken, Heidsiek Monopole, Pommery Champagne

Spirits

Wines Soft drinks

Spirits

Wines Soft Drinks

Fonte: www.camparigroup.com

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