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Frugal E Reverse Innovation

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L’internazionalizzazione della Funzione Ricerca e Sviluppo

Indice

1 - Introduzione 3

2 - L'Internazionalizzazione dell’unità R&S 5

2.1 - I Motivi dell’Internazionalizzazione 5

2.2 - Evoluzione delle Forme di Internazionalizzazione 6

2.3 - Strategie Tecnologiche su Scala Internazionale 9

3 - Dalla Globalizzazione alla Reverse Innovation 12

3.1 - Frugal Innovation 14

3.2 - Reverse Innovation 17

3.3 - Perché fare Reverse Innovation 19

3.4 - Il caso: “The 300$ House” 20

1 - Introduzione

Con il termine internazionalizzazione si indica l’espansione dell’impresa al di fuori del proprio mercato nazionale.
Si tratta di un fenomeno di natura composita, che non si riduce alla sola sfera degli scambi e delle transazioni economiche ma che abbraccia gli ambiti della politica, della società e della cultura.
L’internazionalizzazione è un processo oggi inesorabile e di dimensione crescente, che si è trasformato in un motore estremamente potente di integrazione e al contempo di cambiamento della nostra società, alimentando quel fenomeno pervasivo che molti definiscono globalizzazione.
Le imprese, attraverso il processo di espansione internazionale, ricercano in nuovi mercati gli stessi vantaggi di tipo tecnologico e manageriale sfruttati pienamente nei mercati domestici attraverso ingenti investimenti che consentono di mantenerne il controllo.
Questo processo di internazionalizzazione dell’economia si realizza entro uno scenario di progressiva apertura dei mercati: sistemi economici un tempo divisi e con mercati protetti diventano via via più contenibili per operatori nazionali ed internazionali.
Il conseguimento di un vantaggio competitivo o di condizioni di profittabilità sostenibili nei mercati internazionali dipende fortemente dall’abilità delle imprese di riuscire a creare, sfruttare e modificare progressivamente risorse e competenze di valore per i mercati globali. Il possesso di know-how, di competenze e di risorse strategiche non è sufficiente a garantire all’impresa il mantenimento di un certo vantaggio competitivo. Questo è determinato fortemente anche dalla capacità dell’azienda di seguire un approccio evolutivo che impone di adattare le proprie operazioni e risorse agli stimoli provenienti dai mercati locali.
L’internalizzazione delle aziende da una parte si basa sulla capacità di queste ultime di globalizzare il proprio bagaglio di risorse e conoscenze per sfruttarlo a livello mondiale , dall’altro di riuscire ad allineare il proprio prodotto e le proprie tecnologie alle reali necessità dei diversi paesi.
Il trasferimento all’estero di attività economiche è un fenomeno che interessa molto anche il nostro paese dove, da una pubblicazione dell’ISTAT, emerge che: un’ impresa su 10 con almeno 50 addetti ha trasferito all’estero attività o funzioni precedentemente realizzate in Italia, il 7,3% ha sviluppato all’estero nuove attività, mentre il 3,8% ha realizzato entrambe le azioni.[1]
L’internazionalizzazione ha interessato maggiormente le imprese industriali rispetto a quelle operanti nel settore dei servizi e le funzioni più interessate da questo fenomeno vanno dal marketing alle vendite, ai servizi post-vendita fino alla distribuzione, alla logistica, ai servizi amministrativi, contabili e gestionali. La riduzione del costo del lavoro è uno dei fattori che più incidono sulla scelta di trasferire all’estero attività o funzioni aziendali, ma come vedremo successivamente non è di certo l’unico.
Nel percorrere un cammino di innovazione sul mercato internazionale le aziende, in particolare quelle high-tech, necessitano di bilanciare attività di Ricerca e Sviluppo (R&S) tra l’implementazione di tecnologie e soluzioni globali e l’adattamento di queste a esigenze di mercati specifici. Negli ultimi anni la capacità innovativa delle imprese appare provenire da caratteri e fonti decisamente diversi rispetto al passato, a causa del profondo mutamento che ha investito le dinamiche evolutive legate ai paradigmi tecnologici. Queste infatti non dipendono solamente dall'impulso derivante dall’investimento in R&S ma, oggi più che in passato, sono fortemente dipendenti dal contributo apportato da comunità tecnologiche disperse nel mondo, che hanno sostituito la logica della protezione del know-how tecnologico con quella del suo sviluppo continuo. La partecipazione ad un sistema di ricerca, locale o globale, consente all'impresa di accrescere in maniera significativa il suo potenziale di sviluppo tecnologico poiché, avvalendosi di processi di apprendimento collettivo in una rete locale e in misura maggiore di apprendimento relazionale in una rete allargata [Lipparini e Lorenzoni 1996], è in grado di accedere a bacini di competenze esterne. La possibilità di accedere a competenze localizzate in una specifica area permette di aumentare considerevolmente la capacità innovativa e quella di sfruttamento dell'innovazione a fini commerciali delle imprese internazionalizzate rispetto a quelle con un orientamento domestico. Le multinazionali stanno attuando strategie diverse dal punto di vista innovativo per imporsi nei mercati in via di sviluppo e ciò è dovuto alla necessità di penetrare in nuovi mercati dove imporsi con prodotti ridimensionati o completamente innovativi. Bisogna guardare con occhi nuovi alle strutture e specificità locali, ed è qui che entra in gioco l'innovazione frugale: la tecnologia sofisticata potrebbe essere molto meno importante rispetto al costo accessibile e alla capacità di funzionare anche in difficili condizioni ambientali. Le innovazioni frugali sono frutto della necessità e si traducono spesso in soluzioni semplici ed eleganti. Alla fine questi sviluppi possono sfociare nella cosiddetta innovazione inversa divenendo utili e trovando nuove applicazioni nei mercati occidentali.

2 - L'Internazionalizzazione dell’unità R&S

Sono molte le conseguenze della sempre più globalizzata economia odierna e, tra queste, in ambito scientifico la più evidente è forse l’internazionalizzazione della R&S.
Le aziende che vogliono svolgere attività di ricerca ora possono installare le proprie strutture in qualunque parte del mondo e, con ogni probabilità, la loro scelta dipende più dalle capacità locali, dalla disponibilità e dal costo dei ricercatori qualificati che dalla sede dell’impresa stessa. L’emergere di fenomeni di convergenza tecnologica intersettoriale e il pervasivo diffondersi di tecnologie trasversali, rende sempre più ampio lo spettro di tecnologie che la singola impresa deve essere in grado di presidiare per rispondere adeguatamente e con la necessaria tempestività ai cambiamenti determinati da mercati sempre più competitivi. La singola azienda si trova quindi a confrontarsi con un ambiente in cui si infittisce la rete di interdipendenze con soggetti esterni o con porzioni di ambiente che mostrano dinamiche difficili da controllare e a volte anche da comprendere. Queste considerazioni valgono per tutte le imprese, indipendentemente dallo specifico settore di attività. Tali organizzazioni vengono chiamate a riconsiderare gli asset organizzativi delle funzioni e degli organi preposti al presidio della variabile tecnologica e ai processi innovativi, in primo luogo il sistema delle unità e dei laboratori impegnati nelle attività di ricerca, di sviluppo tecnologico e di ingegnerizzazione.

2.1 - I Motivi dell’Internazionalizzazione
Gli studi sull’internalizzazione della R&S tendono a individuare tre classi principali di motivazioni che possono indurre le imprese a realizzare investimenti all’estero: 1) la pressione della domanda e le caratteristiche dei mercati di sbocco delle aziende sottolineano l’esigenza dell’impresa stessa di adattare la propria offerta alle specificità locali; 2) sul fronte dell’offerta la motivazione tradizionale che determina gli investimenti diretti all’estero nelle attività di produzione è la ricerca di fattori produttivi disponibili in misura ampia e a basso costo. Ciò però non vale molto per la R&S dove gli investimenti in nuove unità di ricerca si rivolgono prevalentemente verso paesi industrialmente avanzati. La scelta in altre parole è guidata dalla vicinanza a fattori di produzione della conoscenza non già a basso costo ma ad elevata specializzazione e professionalità. 3) Fra i fattori legati invece alla struttura imperfetta dei mercati sono da ricordare le decisioni di localizzazione all’estero a carattere imitativo, effettuate come risposta a investimenti diretti in un particolare paese da parte di un concorrente. I governi locali, inoltre, svolgono un ruolo importante nel favorire insediamenti locali di unità di ricerca da parte di multinazionali, attraverso esplicite politiche di incentivo o manovre di condizionamento indiretto.

I dati evidenziano dunque la tendenza verso una crescente internazionalizzazione degli investimenti e delle attività innovative. La scelta di proiettare le attività di R&S su scala internazionale riflette esigenze ben più profonde di natura strategica, che fanno riferimento al mutamento dei paradigmi tecnologici e d’innovazione e che si traducono in strategie tecnologiche e orientamenti organizzativi della funzione R&S molto meno lineari e semplici del passato.

2.2 - Evoluzione delle Forme di Internazionalizzazione
L’analisi delle motivazioni appena affrontate evidenzia come le unità di Ricerca e Sviluppo possano svolgere ruoli assai differenziati e dare quindi luogo a differenti tipi di unità di R&S, in termini di: a. tipologia di attività innovativa svolta; b. apporto al complessivo sistema di R&S dell’azienda di appartenenza; c. relazioni con le altre funzioni aziendali centrali e periferiche.
Una prima classificazione delle differenti forme di internazionalizzazione delle unità R&S è stata avanzata da Ronstadt e prevede quattro tipologie di unità, riportate di seguito, a seconda del ruolo che svolgono per l’azienda.

1) Transfer Technology Unit (TTU), unità strettamente collegate agli stabilimenti di produzione: a. è caratterizzata dagli obiettivi di innovazione più modesti, impegnata in attività di sviluppo; b. svolge una funzione di supporto alla filiale locale nel trasferimento dalla sede centrale delle tecnologie di processo o di prodotto offrendo anche funzioni di assistenza tecnica ai clienti locali; c. utilizza il patrimonio di tecnologie derivato direttamente dalla sede centrale, che rappresenta quindi il serbatoio di conoscenze a cui attinge il suo know-how.

2) Indigenous Technology Unit (ITU), tipica del settore alimentare: a. sviluppa attività di ricerca di base; b. impegnata nello sviluppo di prodotti o processi nuovi o migliorati con l’obiettivo di adattarli al mercato locale, non basati sul semplice trasferimento diretto di tecnologia dalla sede centrale; c. solitamente dipendenti da un core tecnologico proveniente dai centri localizzati presso la casa madre o gestiti direttamente da essa.

3) Global Technology Unit (GTU): a. sviluppa prodotti e processi per tutti i mercati principali in cui l’impresa è presente, quindi impegnata nella ricerca applicata; b. caratterizzata da divisioni localizzate di attività di produzione e relativa attività di R&S c. tipicamente formata da divisioni di prodotti con responsabilità globale relativamente allo sviluppo tecnologico del loro prodotto.

4) Corporate Technology Unit (CTU), tipicamente per la ricerca con lungo orizzonte temporale: a. unità ad elevato contenuto innovativo, sviluppa programmi di ricerca applicata; b. impegnata in programmi di interesse comune a tutte le linee di prodotto o processo aziendali; c. gestite direttamente dalla corporate o dalla casa madre;
Questa classificazione, oltre ad avere rilevanza in un ambiente statico relativo al ruolo che le unità assumono per l’azienda stessa, evidenzia una possibile analisi evolutiva che trova riscontro nel seguente percorso di sviluppo: frequentemente i laboratori di R&S all’estero nascono per offrire assistenza tecnica alle unità produttive nel paese (TTU), successivamente alcuni di questi laboratori assumono responsabilità su attività a maggiore contenuto innovativo (ITU), in seguito possono poi evolvere notevolmente fino a raggiungere le forme più innovative (GTU e CTU).
Un’ulteriore classificazione possibile è quella proposta da Pierce e Singh, che identificano tre tipologie di unità:

● Support Laboratories, unità caratterizzate per il loro impegno in attività di adattamento delle tecnologie di prodotto e di processo che sono già disponbibili all’impresa alle esigenze del specifico mercato locale; ● Locally Integrated Laboratory, si impegnano in un’attività innovativa che va oltre il semplice adattamento e comprende lo sviluppo di una tecnologia nuova sulla base di stimoli locali, in una logica di semplice ottimizzazione della posizione della filiale nel mercato locale, fino ad arrivare a programmi di ricerca di rilevanza globale per l’impresa rispetto ad un dato prodotto; ● International Interdependent Laboratory, unità inserite in uno o più programmi di ricerca fondamentali orientati allo sviluppo di generazioni di prodotto nuove per tutta l’impresa.

Entrambe le classificazioni, si muovono all’interno di un’articolazione della rete di unità di R&S in funzione di: 1. Specializzazione delle unità lungo il ciclo dell’innovazione; 2. Scelte di accentramento o decentramento delle responsabilità decisionali affidate alle unità.
Questi due aspetti sono interrelati, secondo una prospettiva tradizionale, in quanto risorse strategiche sono strettamente controllate dal centro e la differenziazione di ruolo tra le unità è basata sulla funzione loro attribuita lungo il ciclo di innovazione. Infatti, le fasi iniziali del processo innovativo sono caratterizzate da una gestione accentrata delle unità di R&S, mentre nel proseguire lungo il ciclo innovativo si assiste ad una crescente articolazione e ad una gestione decentrata presso le filiali e divisioni locali, che devono rispondere alle esigenze di orientamento al mercato occupandosi delle fasi di sviluppo ed ingegnerizzazione del prodotto.
Il risultato che ne deriva è una struttura quasi gerarchica delle unità di R&S, dove il core del patrimonio tecnologico è conservato e sviluppato presso l’unità di ricerca centrale, attorno alla quale si sviluppa un’articolazione di unità satelliti nei paesi in cui è maggiore la presenza industriale dell’impresa e impegnate in attività di sviluppo e adattamento dei prodotti e processi.

2.3 - Strategie Tecnologiche su Scala Internazionale
Il grado crescente di risorse allocate nei differenti siti di ricerca e laboratori, lo sviluppo di mercati globali per le tecnologie, la ricerca di localizzazioni specializzate anche lontane dai paesi di origine e, soprattuto l’emergere di numerose storie di successo di tecnologie sviluppate localmente e commercializzate su scala globale, hanno modificato in misura significativa non solo le unita di R&S nelle imprese internazionalizzate, ma anche il processo di ricerca e di innovazione da queste poste in essere.
Appare sempre più evidente che il processo innovativo è guidato da traiettorie di sviluppo che superano i confini organizzativi di una singola unità, e che portano alla partecipazione attiva a comunità tecnologiche che costituiscono un punto di forza per lo sviluppo del patrimonio di competenze dell’impresa. Si rendono così necessarie capacità di assorbimento della conoscenza proveniente da fonti esterne e di integrazione delle nuove conoscenze con quelle preesistenti.
L’interpretazione del fenomeno innovativo, del resto, è sempre più frequentemente ricondotta al bilanciamento tra una forza centrifuga, che deriva dalla presenza di elementi strutturali e processi che aumentano la qualità e la quantità di idee, conoscenze e informazioni cui è possibile accedere, ed una forza centripeta che riguarda quelle strutture e quei processi che integrano le idee, conoscenze ed informazioni disponibili. Mentre le forze centrifughe agiscono per raccogliere le conoscenze disperse al di fuori dell’organizzazione, quelle centripete trasformano il potenziale innovativo che emerge in azioni rivolte ad obiettivi specifici.
L’internazionalizzazione dello sviluppo, dunque, si traduce in una scelta forte che ruota attorno da un lato, alla necessità di assorbire idee e conoscenze provenienti da luoghi dispersi geograficamente e dall’altro, alla capacità di tradurre questo enorme potenziale innovativo in progetti e attività per mercati globali.
Il completo governo di questi fenomeni è reso assai complesso dalla notevole difficoltà nell’accedere a bacini di competenze esterne. L’organizzazione internazionale della R&S risponde a tali difficoltà attraverso la costituzione di reti di unità di R&S interne che, connesse alle rispettive reti esterne, provvedono a costituire un accesso efficace al mercato delle tecnologie.
La strategia tecnologica nelle imprese internazionalizzate è costruita attraverso scelte di bilanciamento dei ruoli delle diverse unità presenti nella rete interna, e dei ruoli delle unità di ricerca indipendenti che partecipano alle reti esterne. Può quindi presentarsi con orientamenti differenti. La strategia etnocentrica centralizzata si basa sulla realizzazione di investimenti interni, quasi esclusivamente concentrati sul mercato di origine attraverso un’organizzazione centralizzata e localizzata nel mercato domestico. È tipico di imprese che considerano il mercato di origine nettamente superiore con riferimento alle tecnologie da sviluppare. Questa soluzione consente di mantenere un forte presidio sul cuore tecnologico che assicura la competitività dell’impresa sul lungo termine; inoltre garantisce l’efficienza attraverso lo sfruttamento di economie di scala e specializzazione nel lavoro di R&S. Di contro, determina una carenza di sensibilità ai segnali provenienti dai mercati locali e, in sede di trasferimento dell’innovazione dal centro alle unità locali, genera rischi legati alla sindrome del not invented here.
La strategia geocentrica centralizzata costituisce una prima risposta al problema dell’adattamento delle tecnologie e dei prodotti ai mercati locali. Cerca di coniugare i benefici in termini di presidi, specializzazione ed efficienza della strategia di primo tipo, con i benefici di una maggiore apertura della R&S agli stimoli dei mercati locali, attraverso la creazione di reti e relazioni con attori locali. Grazie a queste ultime, la strategia geocentrica centralizzata offre una soluzione rapida e poco costosa all’internazionalizzazione della R&S senza rinunciare ai vantaggi della centralizzazione.
La strategia policentrica decentralizzata costituisce una soluzione radicalmente opposta alle precedenti, poiché prevede la costituzione di unità locali separate ed un’attività di R&S profondamente dispersa tra le diverse unità. È una strategia finalizzata a sviluppare al meglio la sintonizzazione delle attività innovative con le esigenze dei mercati locali, anche a costo di rinunciare alla supervisione e al coordinamento di un’unità centrale. Conduce ad una risposta efficace ai mercati ed a rendere le singole sussidiarie indipendenti rispetto al centro, oltre a permettere loro la costituzione di specifiche reti di relazioni per la R&S con fornitori locali ed altre organizzazioni. Tuttavia essa in molti casi può portare ad una duplicazione degli sforzi ed alla necessità di ridurre il budget complessivo dedicato alla ricerca, attraverso operazioni di razionalizzazione che generano un’elevata competizione tra i diversi siti e laboratori.
La strategia del modello hub differisce dalla precedente poiché recupera un ruolo rilevante alle unità di corporate, che assumono il compito di controllare e coordinare le attività disperse lungo la rete interna di R&S. L’unità centrale è l’unità principale per tutta la ricerca e per le attività di sviluppo avanzato, con l’obiettivo di concentrare in un unico sito la massa critica necessaria a realizzare un efficace presidio sulle tecnologie rilevanti. Le unità locali invece, operano sotto il controllo ed il coordinamento centrale e, in aggiunta, funzionano da recettori degli stimoli provenienti dai mercati locali. Questa soluzione assicura, per vie differenti rispetto alla geocentrica centralizzata, un bilanciamento tra i benefici della centralizzazione e del presidio delle tecnologie principali, e quelli del monitoraggio dei mercati locali. Il riconoscimento dei bisogni locali, infatti, può essere tradotto rapidamente in attività di sviluppo su scala globale attraverso l’adozione di un processo integrato di innovazione distribuita in una rete interna di unità.
La strategia del modello a rete integrata, infine, rappresenta la soluzione più innovativa in quanto si basa sulla costruzione di una rete di unità specializzate per competenze. L’unità localizzata nel mercato di origine non costituisce il centro del controllo, ma essa evolve verso uno specifico centro di competenza che insieme ad altri centri localizzati in mercati molto distanti tra di loro, completa il portafoglio di attività, progetti e competenze tecnologiche dell’impresa. Anche le unità locali assumono un ruolo strategico, poiché presidiano alcune specifiche competenze.
Le strategie appena descritte rappresentano un approccio di gestione dell’internazionalizzazione della R&S interno all’impresa. Esiste anche una dimensione esterna, che fa riferimento agli accordi di tipo equity e non-equity. Appare utile evidenziare la modalità basata su operazioni di corporate venturing.
Il Corporate Venture Capital ed il Venture Capital rappresentano delle attività strutturate, generalmente gestite presso l’headquarter, con l’obiettivo di ricercare, valutare, selezionare e definire nel concreto opportunità d’investimento in imprese e attività di potenziale interesse ai fini della strategia tecnologica. L’elemento comune a questi tipi di intervento è il finanziamento in contro capitale di iniziative innovative. La logica che sottende queste operazioni può essere sia prevalentemente speculativa, di crescita del rendimento medio del portafoglio di investimenti in imprese, sia prevalentemente strategica, di scouting di nuove tecnologie e di partnership con piccole imprese molto innovative, spesso localizzate su mercati geografici differenti. In questo secondo caso, le attività di corporate venture capital possono rappresentare un vero e proprio motore per l’internazionalizzazione della R&S che, partendo dalla partecipazione in fondi di venture capital specializzati su tecnologie e mercati diversi, possono passare attraverso l’acquisto di quote di minoranza di società di piccole dimensioni localizzate all’estero e arrivare fino alla creazione di siti di R&S all’estero, al fine di promuovere maggiormente la collaborazione con risorse di ricerca locali.

3 - Dalla Globalizzazione alla Reverse Innovation

Storicamente il processo di internazionalizzazione ha visto succedersi più fasi, coinvolgendo sia le attività riguardanti strettamente la funzione R&S, che quelle legate all’organizzazione nel suo complesso.
Il primo step verso l’internazionalizzazione si riferisce all'affermazione delle imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale: in questo ambito si fa riferimento sia alla delocalizzazione di una o più fasi produttive che alla tendenza delle organizzazioni ad ampliare i propri mercati di sbocco. Questo fenomeno, in atto già dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, è noto a tutti con il termine globalizzazione. Più precisamente essa rappresenta l’unificazione dei mercati a livello mondiale, consentita dalla diffusione delle innovazioni tecnologiche, specie nel campo della telematica, che hanno spinto verso modelli di consumo e di produzione più uniformi e convergenti. Tutto questo è stato favorito dalla progressiva riduzione, da parte di molti paesi, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei capitali. Secondo la globalizzazione, da un lato si assiste a una progressiva e irreversibile omogeneità nei bisogni e a una conseguente scomparsa delle tradizionali differenze tra i gusti dei consumatori a livello nazionale o regionale; dall’altro, le imprese sono maggiormente in grado di sfruttare rilevanti economie di scala nella produzione, distribuzione e marketing dei prodotti, specie dei beni di consumo standardizzati e di praticare politiche di bassi prezzi per penetrare in tutti i mercati. L’impresa che opera in un mercato globale, pertanto, vende lo stesso bene in tutto il mondo e adotta strategie uniformi.
Focalizzandoci maggiormente sulle attività di R&S, queste tipicamente venivano svolte all’interno dell’ headquarter delle organizzazioni o al più nell’area del loro mercato di riferimento. Con la globalizzazione le imprese tendono invece a delocalizzare, non tanto con l’obiettivo di sviluppare prodotti ad hoc rivolti al mercato locale, ma esclusivamente per andare alla ricerca di talenti e trarre vantaggio da costi più bassi. Con riferimento a quanto visto in precedenza sulle tipologie di unità di R&S, quella che più si addice alle peculiarità della globalizzazione, sembra essere la Global Technology Unit.
L’ outsourcing della attività di Ricerca e Sviluppo è stato incentivato dal crescere del potenziale di capacità intellettuale dei paesi emergenti, nei quali infatti aumenta costantemente il numero dei laureati e la produzione di articoli scientifici.
(GRAFICO PAG 229)
Intrapreso il percorso segnato dalla globalizzazione le organizzazioni hanno intuito che un ulteriore vantaggio potesse arrivare realizzando piccoli adattamenti a prodotti già esistenti. Questa seconda fase prende il nome di glocalizzazione, attraverso la quale le compagnie sviluppano prodotti high-end (la fascia alta del mercato dei prodotti) “in casa” rendendoli più appropriati ai mercati mondiali attraverso qualche adattamento alle condizioni locali. Utilizzato per anni da molti produttori di beni industriali per paesi ricchi, ha il vantaggio di conciliare l’ingresso delle imprese nel mercato globale, cruciale per la riduzione dei costi, con la differenziazione dei prodotti, decisivo per massimizzare la quota di mercato.
Con questo diverso approccio le imprese multinazionali hanno istituito nuove unità di Ricerca e Sviluppo (o rivoluzionato quelle esistenti) ispirandosi prettamente a tipologie quali la Indigenous Technology Unit e la Transfer Technology Unit, quest’ultima dedicata all’assistenza clienti.
Se prendiamo come esempio una multinazionale come la General Electric notiamo che questa , grazie alla strategia di glocalizzazione ha visto salire velocemente i suoi redditi realizzati al di fuori degli USA dai 4.8 miliardi di dollari del 1980 (pari al 19% del reddito totale), ai 97 miliardi di dollari del 2008 (più del 50% del totale). Il modello assunse rilievo quando le opportunità dei mercati emergenti odierni erano abbastanza limitate, le loro economie dovevano ancora decollare e i segmenti dei clienti medio-bassi non esistevano.
Un’inversione di rotta si ebbe quando le organizzazioni realizzarono che attuando la glocalizzazione nei paesi emergenti, riuscivano a rivolgersi soltanto ad una piccola parte del mercato, in quanto la loro offerta era dedicata a clienti ricchi che rappresentano in questi paesi solo una minoranza.

3.1 - Frugal Innovation
La necessità di rivolgersi ai consumatori appartenenti al mercato “bottom of pyramid” (BoP), ossia coloro che sono costretti a vivere con meno di 2.50 dollari al giorno, superando così il limite della glocalizzazione, impone alle organizzazioni di tener conto delle caratteristiche di tali mercati, radicalmente differenti da quelle dei paesi occidentali. I mercati di paesi come la Cina e l’India infatti, risultano essere molto più vari e volatili rispetto a quelli maturi: le complessità culturali si intrecciano a gusti mutevoli e la fedeltà al marchio è praticamente inesistente.
L'innovazione frugale nasce prendendo come punto di partenza le peculiarità appena descritte e le esigenze dei consumatori poveri (in India è il 90% della popolazione), fino a prima mai considerate.
Le aziende hanno bisogno di comprimere i costi per raggiungere queste persone e sono obbligate ad accettare margini di profitto ridotti ottenendo in cambio però un volume maggiore di clienti.
I prodotti realizzati in quest'ottica sono radicalmente più semplici, al fine di ridurre i costi e renderli accessibili a tutti: invece di aggiungere orpelli e decorare il prodotto sempre di più, lo si spoglia fino all'estremo essenziale. Ma ciò non significa solo taglio dei costi fino all'osso, infatti i prodotti frugali devono essere molto adattabili, resistenti e facili da usare.
Innovazione Frugale peraltro non significa creare prodotti di seconda categoria: a tal proposito prendiamo come esempio l’innovazione attuata da GE nel campo sanitario.
Nel 2001, General Electric tentò il lancio di una macchina a ultrasuoni in Cina. I vertici della società si accorsero però che per i cinesi il prezzo del prodotto era troppo alto, così misero al lavoro un team di ricercatori locali per immaginare uno strumento più economico e soprattutto utilizzabile nei villaggi sperduti dell’entroterra. Quell’idea si dimostrò vincente in Cina, permise a GE Healthcare di lanciare in giro per il mondo il primo ecografo tascabile sotto i 15000$. Un’evoluzione simile ha riguardato il dispositivo per l’elettrocardiogramma introdotto nel mercato rurale indiano sempre da GE: poichè la popolazione indiana risulta dispersa in un territorio molto vasto e visto il numero ridotto di presidi ospedalieri, perlopiù concentrati nelle grandi metropoli, i ricercatori hanno ideato un dispositivo portatile, dal prezzo ridotto, per eseguire un elettrocardiogramma. In questo modo anche coloro che a causa delle difficoltà economiche e logistiche sono impossibilitati a recarsi nelle strutture ospedaliere, possono sottoporsi a tale controllo attraverso una visita a domicilio da parte di un medico o recandosi in piccole strutture di periferia. Come si può immaginare questi due dispositivi utilizzano una tecnologia recentissima e non si tratta di una semplice rivisitazione di prodotti già esistenti, poiché vengono ripensati completamente sia i processi produttivi che i modelli di business.

Vi sono tre metodi per ridurre i costi che si stanno dimostrando particolarmente efficaci.
Il primo consiste nell'appaltare il lavoro il più spesso possibile. Ad esempio la Bhati Airtel, una azienda di telefonia mobile indiana che nel suo settore fa pagare meno tasse degli altri ma vale 30 miliardi di dollari, ha affidato tutto a terzi , ad eccezione del suo core business ovvero la vendita di telefonate, consegnando le operazioni di rete a Ericsson, il sostegno alle imprese a IBM e la gestione delle torri di trasmissione ad una società indipendente. Per fare questo lavoro, Bharti ha dovuto convincere i suoi partner commerciali a ripensare i propri modelli di business. Ad esempio, Ericsson ha dovuto accettare di essere pagata in base ai minuti piuttosto che per vendere e installare l'apparecchiatura, e le aziende rivali di telefonia mobile di affittare le loro torri, piuttosto che venderle a titolo definitivo.
Un'altra strategia è utilizzare la tecnologia esistente in modi nuovi e fantasiosi. Ad esempio la TCS, una società indiana leader nella fornitura di servizi informatici, ha cercato di utilizzare i telefoni cellulari per collegare i televisori a internet; i personal computer sono ancora relativamente rari in India, ma i televisori sono onnipresenti. TCS ha progettato una scatola che collega il televisore a Internet attraverso un telefono cellulare e inoltre, ha messo a punto un controllo remoto che permette alle persone che non hanno mai usato una tastiera di navigare nel web in maniera semplice e intuitiva. Questa idea è elegante e sobria: riconfigurare la tecnologia esistente può potenzialmente portare Internet a milioni di persone.
Il terzo modo per tagliare i costi è quello di applicare tecniche di produzione di massa in aree nuove e inaspettate. Ad esempio Devi Shetty , il cardiochirurgo più celebre in India, ha reso l'industria medica indiana più efficiente mediante l'utilizzo dei principi di gestione di Henry Ford. Egli ritiene che una combinazione di economie di scala e di specializzazione possano ridurre nettamente i costi della chirurgia cardiaca. Il suo fiore all'occhiello è l'ospedale Narayana Hrudayalaya nel distretto di Bangalore avente mille posti letto (contro una media di 160 negli ospedali americani) e il dottor Shetty con il suo team esegue circa 600 operazioni a settimana. I chirurghi sono esenti da compiti di amministrazione e possono concentrarsi sulle loro abilità peculiari acquistando competenze di livello mondiale. L'ospedale richiede in media 2.000 dollari per un'operazione di chirurgia a cuore aperto, rispetto ai 20.000 dollari negli Stati Uniti, eppure i suoi tassi di successo sono buoni come nei migliori ospedali americani.

Come afferma il Professore di International Business e Founding director del Center for Global Leadership alla Tuck School of Business del Dartmouth College, Vijay Govindarajan, parlando del caso GE, non si possono comprendere da Milwaukee le esigenze degli uomini meno abbienti in popolazioni lontane come India e Cina. Le organizzazioni, vista ad esempio la scarsa fedeltà al marchio da parte dei consumatori di questi paesi, sono costrette a politiche di marketing molto spinte; alcune di esse ad esempio, tra le quali anche GE, hanno inviato esperti in loco per analizzare le abitudini dei consumatori e le esperienze d’uso di prodotti forniti gratuitamente. Fondamentale, e probabilmente più efficace risulta essere allora la creazione di un team per la crescita locale direttamente sul territorio di interesse. Si parla quindi di un cosiddetto “Local Growht Team”, che abbia responabilità di P&L, il potere di decidere quali prodotti sviluppare per i propri mercati ed il modo in cui farli, venderli e servirli, oltre ad avere il diritto di attingere alle risorse globali della società. La chiave per questi team secondo Vijay Govindarajan è sperimentare e imparare l'approccio per “spendere poco e imparare molto”.Pertanto si è evoluto il “Local Growth Team Model” (LGT Model) che si basa su cinque principi fondamentali:

Trasferire il potere dove vi è crescita - senza autonomia i team LGT diventerebbero delle pedine del business globale e non sarebbero in grado di concentrarsi sui problemi dei clienti;
Costruire nuove offerte da zero - Data la differenza abissale tra i paesi poveri e i paesi ricchi in quanto a reddito, infrastrutture ed esigenze di sostenibilità, l’innovazione deve partire da zero: queste importanti differenze infatti non possono essere “coperte” semplicemente adattando prodotti globali;
Costruire team LGT da zero come nuove aziende - Un'innovazione da zero avviene solamente se anche la progettazione organizzativa parte da zero. Tutto il software organizzativo della GE si è evoluto per sostenere la glocalizzazione; i team LGT hanno dovuto riscrivere il software prima di realizzare l'ECG a basso costo.
Personalizzare obiettivi, traguardi e metriche - Le metriche e gli standard dei team LGT usati per risolvere questioni critiche raramente sono uguali a quelle utilizzate dalle sedi principali. Infatti il nuovo modello di business ha dato enfasi alla formazione, ha offerto guide online, ha progettato prodotti più semplici e monitorato la soddisfazione dei clienti per misurare il grado di successo.
Rapportarsi con qualcuno forte nell'organizzazione - I team LGT non possono prosperare senza un forte sostegno dall'alto. Il dirigente sovrintendente al LGT ha tre ruoli fondamentali: mediazione dei compiti tra il team e il business globale, connettere la squadra a varie risorse come i centri globali di R&D e aiutare a portare le innovazioni che il team sviluppa nei paesi più ricchi.

Pertanto l'innovazione frugale postula l'applicazione della legge di Pareto allo sviluppo prodotti: il 20% delle caratteristiche tecniche basta a soddisfare l'80 per cento della domanda. Le innovazioni frugali sono frutto della necessità e si traducono spesso in soluzioni semplici ed eleganti. Alla fine questi sviluppi possono sfociare nella cosiddetta innovazione inversa: il design frugale si dimostra utile non solo nei mercati Bottom of Pyramid, ma anche in quelli occidentali, dove i clienti sono sensibili al principio value for money.

3.2 - Reverse Innovation
Generalmente è sempre stato il mercato dei paesi ricchi ad andare a svilupparsi in quelli emergenti, apportando novità ed elementi innovativi. Come afferma più volte lo stesso Vijay Govindarajan, tra i maggiori esperti mondiali di strategia e innovazione, è intuitivo che i paesi “poveri” ambiscano al possesso di un prodotto dei paesi ricchi, ma non risulta altrettanto intuitivo che sia il paese “ricco” ad ambire al possesso di un prodotto dei paesi poveri. Ad entrare in gioco non è quindi la logica tradizionale, in cui lo sviluppo veniva attribuito al Paese ricco e ad usufruirne erano quelli in via di sviluppo, ma proprio l’inverso (da qui innovazione inversa e appunto reverse innovation). Si tratta di un meccanismo nato quasi per caso e che porta una controtendenza rilevante nella definizione di mercato fino a quel momento conosciuto.
Si potrebbe quindi parlare di globalizzazione rovesciata, un fenomeno che sta portando un’ondata tecnologica in senso inverso, da est verso ovest e da sud verso nord.
È proprio Vijay Govindarajan a parlare di reverse innovation in modo consapevole.
Com’è noto, il 90% dell’India è povero e solo un 10% si potrebbe permettere i macchinari fino a quel momento sviluppati e prodotti negli Usa. È così che la strategia locale permette lo sviluppo e la distribuzione di prodotti a basso prezzo per fronteggiare un mercato nuovo, quello dei “poveri”; non si parla d’altro che di innovazione frugale, un’innovazione per i paesi in via di sviluppo. D’altro canto, anche nei paesi ricchi, il 10% della popolazione è povero. Con questo assunto nasce il mercato di prodotti per poveri anche nei paesi ricchi, per poi sfociare in un conseguente utilizzo degli stessi per venire incontro a nuove esigenze, in cui il dispositivo portatile ed economico la fa da padrone.
Si chiama quindi reverse innovation, proprio perché è inversa alla glocalizzazione, che molti produttori di beni in paesi ricchi hanno utilizzato per decenni. La glocalizzazione però non viene sostituita dalla reverse innovation, ma entrambe devono cooperare tra loro affinchè un’azienda possa risultare vincente sul mercato. Infatti la prima non può ignorare la seconda, dal momento che è in fieri il rapido sviluppo dei paesi popolosi come Cina e India e un evidente rallentamento della crescita dei paesi ricchi. La reverse innovation quindi diventa prerequisito essenziale per il continuo successo dei paesi sviluppati, senza la quale non potrebbero fronteggiare un mercato in cui ormai tutti i grandi produttori si cimentano in questo nuovo approccio.
Il principale driver di questo fenomeno è proprio la disuguaglianza tra paesi ricchi e poveri.
I consumatori che abitano il mondo in via di sviluppo hanno richieste particolari con una curva prezzo-qualità completamente differente da quella del mondo sviluppato. Questo fatto produce un’inevitabile rivoluzione in termini di concorrenza anche per il consumatore e l’industria occidentale. Le imprese devono conoscere questo fenomeno e sfruttarlo a proprio vantaggio se vogliono sopravvivere. Le grandi multinazionali come Nokia, IBM e Microsoft stanno cercando di trovare il modo di governare questo cambiamento.
Molte imprese avranno difficoltà a sincronizzarsi con questo nuovo approccio e di conseguenza continueranno a concepire prodotti e servizi per quella parte di consumatori con cui hanno familiarità

Due sono i principi della glocalizzazione che sono stati messi in discussione: 1. Le economie emergenti si evolveranno in gran parte allo stesso modo in cui si sono evolute le economie tradizionali; 2. I prodotti che si focalizzano sulle necessità dei paesi in via di sviluppo non possono essere venduti nei paesi sviluppati perché non sono abbastanza competitivi.
Per quanto riguarda il primo punto, lo sviluppo dei paesi come Cina e India sta seguendo un percorso alternativo. Le popolazioni di questi paesi, infatti, date le condizioni economiche e infrastrutturali si accontentano di prodotti o servizi con prestazioni pari al 50% di quelle richieste nei paesi sviluppati, purché il costo non superi il 15% dello stesso prodotto di fascia alta.
Il secondo punto, invece, prende in considerazione l’aspetto controintuitivo di cui si è accennato precedentemente: non è logico che un paese ricco necessiti di un prodotto destinato ad un paese povero. In verità questi beni possono creare dei nuovi mercati anche nel mondo sviluppato. Si pensi, ad esempio, al dispositivo portatile per l’elettrocardiogramma introdotto dalla GE nei paesi in via di sviluppo; lo stesso prodotto viene attualmente impiegato negli Usa non con lo scopo di fare un esame ECG a domicilio, ma per essere impiegato all’interno di ambulanze in situazioni di emergenza dove la dimensione, la portabilità e l’economicità rappresentano un aspetto critico. Inoltre non sono da sottovalutare le conseguenze della crisi recessiva in atto in questi ultimi anni nei paesi ricchi: le politiche di taglio della spesa pubblica o di incremento della pressione fiscale a cui sono costretti questi paesi stanno portando i cittadini ad apportare alcune modifiche nel loro stile di vita. Ciò significa che prodotti che nascono da un’innovazione frugale potrebbero sostituire nel futuro quelli a cui siamo tradizionalmente abituati.

3.3 - Perché fare Reverse Innovation
A metà tra l’opportunità e la necessità, le organizzazioni sono spinte giocoforza a fare reverse innovation. Quest’ultima infatti nonostante i piccoli margini di profitto realizzabili dalla vendita di prodotti economici, è un’alternativa interessante visti i vantaggi che si potrebbero ottenere grazie ai grandi volumi. C’è poi da considerare la minaccia rappresentata da eventuali nuovi competitor: se le organizzazioni già consolidate non avviassero questo processo di innovazione inversa si troverebbero immediatamente in difficoltà nel mantenere una posizione di rilievo, in termini di quota di mercato, anche in quello che è il proprio mercato d’origine. Il destino delle imprese dipende, quindi, dalla loro capacità di creare il futuro, demolendo gli ostacoli del passato e ricreando un nuovo equilibrio. Bisogna gestire il presente, selettivamente dimenticare il passato e su questa base creare il futuro, concentrandosi sulle nuove opportunità: «Forget, borrow, learn» ovvero «Dimenticare, prendere in prestito, imparare».
Il mondo sta cambiando velocemente e il cambiamento non è più lineare per cui le società si vedono costrette ad innovare continuamente. È necessario fare piazza pulita dei vecchi modelli e costruire un business altamente innovativo all’interno di uno già esistente; quelli che oggi non si fanno domande su come sarà il loro business nel 2020 sono destinati a scomparire.

3.4 - Il caso: “The 300$ House”
Nel 2010 Vijay Govindarajan ha lanciato una sfida a livello mondiale riguardante la realizzazione di una casa dal valore di 300$ che potesse dare alle famiglie povere sicurezza, dignità e comfort.
L'obiettivo è progettare, costruire e distribuire una semplice abitazione che dia ai poveri una possibilità di vivere in modo sicuro e generi un’ecosistema inclusivo di servizi come acqua potabile, servizi igienico-sanitari, istruzione e microimprese, cominciando così a ridurre il tasso di povertà.
Nei paesi ricchi si è visto un proliferare di progetti per costruire comunità immobiliari: l’intento è di replicare gli sforzi ed i lavori nel costruire comunità capaci di aiutare i poveri a migliorare la qualità della vita. Sulla scia di queste iniziative, dopo aver aperto un sito di "crowd-sourcing", è stata creata una società con 2500 dipendenti senza amministratore delegato. Il professor Govindarajan afferma che essi sono disposti a condividere le loro idee liberamente, determinando una vera e propria "open-innovation platform".
Studenti e designer professionisti hanno realizzato numerosi progetti, alcuni dei quali sono stati selezionati per una borsa di studio finanziata da più sponsor, che permetterà ai vincitori di creare dei prototipi delle case in questione. Per raggiungere lo scopo, è stato deciso di riunire i tre attori principali: i possibili residenti della "300$ House", i progettisti ed i costruttori, pensando di concentrare il lavoro inizialmente per i tre paesi specifici ovvero India, Haiti e Indonesia. Alla fine di questo workshop è stato deciso che taluni modelli verranno testati sul campo come progetti pilota.
I prototipi che verranno portati avanti sono due: uno per gli ambienti urbani, destinato alla costruzione in schiera, ed uno per gli ambienti rurali, caratterizzato da una casa singola con uno spazio esterno coperto.
Successivamente sono stati inviati team di studenti dal Dartmouth College in India e ad Haiti per lavorare e collaborare con gli abitanti e per valutare le prospettive, le sfide, le opportunità dell'ecosistema e i punti di forza della comunità.
Una volta poste le basi e trovata una soluzione, le organizzazioni coinvolte saranno pronte ad espandere il progetto a tutto il mondo.
Le parole chiave per le organizzazioni che parteciperanno al progetto sono:
· accessibilità - il valore di 300 $ costringerà le imprese a concentrarsi sulla convenienza radicale;
· sostenibilità – l’utilizzo di materiali ecologici e fonti rinnovabili, ove possibile, con l’obiettivo di creare un'abitazione durevole nel tempo;
· globalità e collaborazione - non considerare il progetto nella sola prospettiva indiana ma trovare nuovi modi per coinvolgere i governi, le organizzazioni non governative e i membri della comunità a tutti i livelli.

Vijay Govindarajan afferma che le lezioni imparate da questo processo di costruzione, i materiali impiegati, il design ed il layout utilizzato dovrebbero essere applicati per costruire la prossima generazione di bioedilizia negli Stati Uniti e nel mondo sviluppato. Le tecnologie innovative e il movimento d'affari generato non andranno a beneficiare solo nella parte inferiore della “piramide", ma nel mezzo e anche in cima: è quello che Govindarajan ama chiamare reverse innovation.
Il vero mercato, spiega il professore, risiede nei paesi sviluppati in cui le imprese, se sono riuscite a seguire i concetti di accessibilità, sostenibilità e collaborazione nella realizzazione delle case da 300$, potranno utilizzare questo progetto come un laboratorio per l'innovazione inversa. In questo modo le aziende che decidono di farsi coinvolgere nella creazione di soluzioni sostenibili rivolte ai poveri finiranno per imparare ciò che servirà per competere nel futuro in tutto il mondo.
Questo processo, infatti, non è finalizzato solamente allo sviluppo di economie e alla risoluzione di problemi di povertà: la costruzione di una casa da 300$ in India, Haiti, o in Indonesia potrebbe essere tradotta in nuovi modi per costruire abitazioni da 3000 $ o addirittura 30.000 $ in tutto il mondo sviluppato.
Un altro esempio di reverse innovation rigurda l’applicazione delle innovazioni tecnologiche di costruzione per la realizzazione di case da utilizzare per un periodo temporaneo in seguito a catastrofi ambientali come terromoti e alluvioni, permettendo alle popolazioni una veloce sistemazione. Altri possibili impieghi sono quello domestico, ad esempio sostituendo le casette di legno portattrezzi, o anche cantieristico, dando un maggiore appoggio agli operai in progetti di lunga durata.

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