INDICE
INTRODUZIONE.......................................................................................................................3
Capitolo I.....................................................................................................................................5
Ragioni per l'azione e norme......................................................................................................5
I.1. Il ruolo delle ragioni.........................................................................................................5
I.1.1. Quattro caratteristiche del concetto di “ragione per l'azione”..................................5
I.1.2 Ragioni escludenti e norme.......................................................................................8
I.1.3 La teoria esemplificata: sorgono alcuni problemi...................................................10
I.2. Disposizioni della autorità e ragioni..............................................................................12
I.2.1 Ragioni indipendenti dal contenuto.........................................................................12
I.2.2. Norme, ragioni e sanzioni......................................................................................13
I.3. L'obbligo politico...........................................................................................................16
I.3.1. Il problema ............................................................................................................16
I.3.2. Centralità dell'obbligo politico ..............................................................................17
I.3.3. Il rispetto per la legge ............................................................................................18
Capitolo II.................................................................................................................................20
La natura dell'autorità...............................................................................................................20
II.1. Razionalità, autonomia e autorità.................................................................................20
II.2. La concezione raziana dell'autorità...............................................................................23
II.2.1. Tre condizioni di legittimità..................................................................................23
II.2.2. Il servizio dell'autorità...........................................................................................25
II.2.3 Ampliare la nozione di legittimità: il consenso.....................................................27
Capitolo III................................................................................................................................32
Dietro la nozione di autorità: le condizioni della sua efficacia................................................32
III.1. Autorità ed efficacia....................................................................................................32
III.1.1. Autorità come autorità sistematica......................................................................32
III.1.2. Condizioni di efficacia delle norme.....................................................................36
III.2. Sapere e discrezionalità delle Corti.............................................................................37
III.3. Alcune considerazioni critiche....................................................................................40
BIBLIOGRAFIA......................................................................................................................43
1
INTRODUZIONE
Questo testo si propone di delineare la declinazione del concetto di autorità avanzata da Joseph Raz e di comprenderne meriti e limiti.
Per raggiungere questo scopo espongo dapprima i principali concetti del pensiero raziano, tentando di farli emergere sia attraverso il confronto con le posizioni di alcuni dei maggiori esponenti del dibattito filosofico-politico e giusfilosofico, sia attraverso la loro capacità di spiegare alcuni aspetti essenziali della nostra vita di tutti i giorni, come quelli di regola, legge o azione. Particolare attenzione è riservata all'analisi della teoria dell'azione, spiegata dall'autore dal particolare angolo prospettico del practical reasoning: all'inizio del primo capitolo illustro la ricostruzione del ragionamento pratico degli individui proposta da Raz, tentando di far emergere e distinguere il ruolo svolto in tale attività dalle credenze, dalle decisioni, dalle ragioni e dalle norme; nel proseguo confronto i risultati ottenuti con la pretesa della legge di essere un'autorità assoluta e suprema. Dopo questa operazione, concepita come propedeutica rispetto allo scopo principale della presente trattazione, cerco di illustrare gli elementi che Raz concepisce come essenziali e costituenti del concetto autorità (concetto che, come spiegherò, va distinto nettamente da altri, quale quello di potere, che solo ad una prima analisi possono apparire simili), o per lo meno di quella autorità pratica che egli maggiormente prende in considerazione. Nel secondo capitolo mi concentro in particolare sulle tre tesi fondamentali avanzate dall'autore concernenti le caratteristiche che un'autorità ha e dovrebbe avere per poter svolgere efficacemente e giustamente il proprio ruolo
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consistente, come si vedrà, nel servire, aumentando le loro probabilità di realizzare le ragioni che essi hanno indipendentemente dal darsi dell'autorità, i propri sottoposti.
Il capitolo conclusivo indaga le condizioni che permettono al diritto, o meglio al sistema giuridico, di avere e preservare la propria posizione autoritativa, nonché di realizzare il proprio scopo. Cerco cioè di comprendere in che modo il diritto riesca a imporsi e a dar prova di sé come autorità efficace. Nell'ultimo paragrafo (III.3) delineo una breve critica alla teoria raziana mettendo in discussione uno dei suoi principali assunti, ovvero il principio secondo il quale le ragioni possano essere, in quanto fatti, riconosciute e comprese dall'autorità senza che a tale processo di comprensione prendano parte le persone che le considerano tali.
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Capitolo I
Ragioni per l'azione e norme
I.1. Il ruolo delle ragioni
I.1.1. Quattro caratteristiche del concetto di “ragione per l'azione”
Per comprendere appieno il quadro teorico complessivo avanzato da Raz è necessario, a mio avviso, partire dalla nozione-chiave di ragione: essa infatti è alla base sia della sua teoria del ragionamento pratico (e dunque della connessa teoria dell'azione), sia della sua prospettiva antropologica. Benché tale termine venga utilizzato in tutte le opere di Raz, è in Practical reason and norms che egli compie una completa disamina di esso e delle caratteristiche logico-concettuali che lo contraddistinguono. I due principali tipi di ragioni sono le ragioni per l'azione
(reasons for action)1 e le ragioni per credere (reasons for belief) ma per il mio scopo è sufficiente soffermarsi sulle prime.
Il concetto di ragione per l'azione è in grado di svolgere la triplice funzione di spiegare, valutare e guidare il comportamento umano ed è quindi in grado di gettare un ponte tra il piano teorico e quello pratico.
Ma cosa è una ragione per l'azione? Vari autori hanno tentato di rispondere a questa domanda. Le strategie per la sua risoluzione si possono ricondurre a tre tipologie: le ragioni sono state identificate con proposizioni, credenze o fatti. Raz identifica le ragioni con i fatti perché esse non possono essere semplici proposizioni, dato che non ha senso affermare che qualcuno compie un'azione per la ragione che vi è una proposizione asserente che essa va realizzata, né ha senso affermare che il solo convincimento che qualcosa sia una ragione fa di essa una ragione, poiché questo comporterebbe
1
Raz 1975, p. 16.
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l'impossibilità di distinguere tra ragioni valide e ragioni non valide. Inoltre considerare le ragioni come credenze significherebbe affermare che quando il soggetto agente non è consapevole di una ragione allora non ve n'è nessuna. La tesi raziana non sorvola banalmente, come alcuni autori sembrano pensare2, sul problema della connessione tra l'esistenza del fatto, le credenze dell'agente e la loro articolazione linguistica. Egli, piuttosto, afferma che, al di là di come tali elementi interagiscono, «[r]easons are used to guide behaviour – and people are to be guided by what is the case not by what they believe to be the case»3. Tale concezione, che è possibile denominare come
“oggettivistica”, ha il pregio di sottolineare la capacità delle ragioni di guidare i comportamenti umani, ossia di essere normative. Se infatti concepiamo le ragioni come mere credenze possiamo adoperarle per render conto delle nostre azioni corrette o per giustificare quelle errate, ma non possiamo servircene come canone per il nostro agire.
In altre parole esse sarebbero utilizzabili solo per spiegare i comportamenti passati e non per guidare quelli futuri: se ha senso affermare che il fatto che un po' d'acqua stesse colando dai vasi posti sul balcone del piano superiore a quello in cui mi trovavo fosse per me una ragione (errata) per prendere l'ombrello, non ha certamente senso sostenere che il fatto che stia colando un po' d'acqua dal balcone del piano superiore sia una ragione per prendere un ombrello.
La concezione oggettivistica va però incontro a due critiche fondamentali. In primo luogo essa non chiarisce il nesso intercorrente tra il ragionamento dell'individuo e le ragioni che si applicano al caso, ovvero tra il modo in cui un fatto viene concepito come ragione valida e il ragionamento che conduce a tale conclusione. Prendiamo il caso4 di una persona che, dopo aver lavorato intensamente per un anno intero, il giorno della partenza per una vacanza per cui ha già versato un lauto anticipo, decida all'improvviso che preferisce restare a casa a scavare buche nel proprio giardino. La sua decisione ci appare del tutto irrazionale e anormale. Mettiamo il caso che, a insaputa della stessa, qualcuno è stato seppellito vivo nel suo giardino proprio quella notte. Il suo
2
Celano 2002.
Raz 1975, p. 16.
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L'esempio è preso da Celano 2002, pp. 35-36.
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comportamento diverrebbe allora, stando alla formulazione della tesi oggettivistica avanzata in precedenza, razionale ma questo è, come è facile da vedere, assurdo.
In secondo luogo essa suggerirebbe che, dato che le ragioni sono fatti oggettivamente osservabili, ogni persona ha, a parità di condizioni, le stesse identiche ragioni. I fatti sono oggettivi, e quindi, come la forza di gravità, validi per tutti.
Entrambe queste critiche si basano su un fondamentale fraintendimento della tesi oggettivistica: esse presuppongono che secondo tale tesi esista un meta-giudizio che è in grado di spiegare l'interezza del mondo e che la differenza tra le ragioni valide o invalide (o meglio le credenze, dato che ho suggerito di adottare il termine ragione solo in chiave normativa) riposi in ultima analisi sulla loro conformità a tale giudizio. Ma concepire le ragioni come fatti non significa affatto che tutti coloro che non hanno cercato in California, antecedentemente alla scoperta della prime miniere d'oro, il metallo prezioso si sono comportati irrazionalmente. Al contrario significa, più semplicemente, tentare di fare i conti con il mondo così come esso è e per come ci è possibile conoscerlo, con la consapevolezza che la conoscenza umana è un processo che si svolge nel tempo e che presenta alcuni limiti costitutivi, tra cui quello di non essere mai definitiva e complessiva. Parimenti la seconda obiezione è errata in quanto concepire le ragioni come fatti non significa affermare che esse hanno pari valore o attrattiva per tutte le persone: l'agire umano è contraddistinto dalla diversità dei nostri scopi e intenti i quali possono essere egualmente razionali e giusti. E' possibile dunque concludere che le ragioni sono fatti. Tale termine, come ormai risulta chiaro dall'ultima osservazione, va inteso, come suggerisce Raz, in senso ampio, ovvero va considerato un fatto tutto ciò che «can be designed by the use of the operator 'the fact that...'»5.
Il concetto di ragione per l'azione risulta essenziale perché è in grado, da un lato, di tradurre in linguaggio descrittivo le proposizioni normative e, dall'altro, di riuscire a misurare la loro relativa forza logica in caso di conflitto. Secondo Raz, infatti, ogni proposizione contente la forma “x deve compiere un'azione A” è, ancorché non completamente sovrapponibile, per lo meno logicamente equivalente alla frase “vi è una
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Raz 1975, p. 18.
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ragione per x per compiere l'azione A”6. Ogni frase formulata in quest’ultimo modo può essere confrontata con un'altra (ugualmente formulata), al fine di scoprire quale delle due possieda una forza logica maggiore; questa, che non va confusa con la mera forza psicologica, la quale concerne esclusivamente il peso con cui una ragione (di fatto) occupa la mente di un dato agente, è misurabile proprio osservando la capacità di una data ragione di sopravanzarne (to override) un'altra in caso di conflitto, il quale si ha quando è logicamente impossibile agire in base sia alla prima che alla seconda ragione.
I.1.2 Ragioni escludenti e norme
Raz introduce una distinzione, essenziale nell'economia della propria teoria, tra ragioni di primo e di secondo ordine7 (first and second-order reason)8: se le prime forniscono all'agente un movente per agire o non agire in una determinata maniera, le seconde consistono in ragioni per agire o non agire (e in quest'ultimo caso sono dette
“exclusionary reasons”) secondo quanto un'altra ragione prescrive. Il significato di tale distinzione diventa palese quando si analizza il comportamento dei due diversi ordini di ragioni in caso di conflitto: se, come si è detto, tra due ragioni del medesimo ordine prevale quella che ha maggiore forza logica, quando si scontrano due ragioni di ordine diversi, in situazioni normale, prevale sempre quella di secondo ordine (che per semplicità assumo essere una ragione escludente) poiché essa, per definizione, ha il potere di escludere dal ragionamento pratico dell'agente quella di primo ordine. Va da sé che una ragione escludente non sempre è in grado di escludere la totalità delle ragioni ma solo una classe di esse.
Queste distinzioni che a un primo sguardo possono apparire eccessivamente complicate e oscure9 sono, secondo Raz, essenziali per fornire un'adeguata teoria delle
6
Ivi, p. 29.
Ivi, pp. 39-42.
8
A second order reason is any reason to act for a reason or to refrain from acting for a reason.
9
A tal proposito rimando al paragrafo successivo ove fornisco alcuni esempi dei diversi tipi di ragioni e del loro utilizzo. 7
7
norme, la quale, come spiegherò in seguito, non può mai essere completamente distinta
- pena la sua inidoneità - da quella del sistema giuridico.
Raz infatti ritiene che per comprendere la natura delle norme giuridiche, o meglio di quelle norme giuridiche dette «prescrittive» (mandatory norms), che cioè prescrivono comportamenti, si debba far riferimento alla loro caratteristica di essere al contempo ragioni di primo ordine per conformarsi alla norma e ragioni escludenti per non agire sulla base di certe ragioni confliggenti.10
Per spiegare questa asserzione Raz fa riferimento a tre modi, tradizionalmente consolidatisi, di giustificare alcuni tipi di norme come dispositivi in grado di ridurre la quantità di tempo e di lavoro necessaria, nonché la possibilità di errore, per svolgere una determinata attività. In questi casi sono le ragioni stesse che impongono che vi sia una norma a determinare la natura della stessa: la norma ottiene il suo scopo solo se è in grado di fornire un modello di comportamento che permetta di non dover esaminare ogni situazione nella sua specificità. Ma essa, e questo è il punto che più Raz intende sottolineare, non è solo uno strumento in grado di risolvere problemi, perché seguire una norma significa ottemperare a quanto essa dispone al di là delle nostre riflessioni sul merito della situazione specifica. Questo significa che seguire «[a] rule entails its acceptance as an exclusionary reason for not acting on conflicting reasons even though they may tip the balance of reasons»11.
Secondo Raz dunque vanno concepite come ragioni escludenti12 quelle norme che normalmente vengono giustificate con l'argomento che sono in grado di far risparmiare tempo e lavoro o ridurre il margine di errore, assieme a quelle considerate valide perché poste da una autorità concepita come portatrice di un sapere tale, da essere in grado di assicurare in maniera significativa la coordinazione. Il che non aggiunge né toglie nulla al modo in cui le norme possono essere giustificate ma, al contrario, ci informa sul ruolo che esse svolgono nel ragionamento pratico di coloro che le ritengono valide.
10
Ivi, pp. 58-59. Questa caratteristica è in realtà comune a gran parte delle regole comportamentali, alle decisioni, e alle promesse. Per semplicità mi riferirò tuttavia solo alle norme prescrittive.
11
Ivi, p. 61.
12
Ivi, p. 74.
8
I.1.3 La teoria esemplificata: sorgono alcuni problemi
In questo paragrafo fornisco un esempio, tratto dalla recente cronaca politica, del modo in cui il ragionamento pratico viene condizionato dai diversi tipi di ragioni e di norme. Come recita il sito dell'a.n.s.a.13, lo scorso aprile la Procura della Repubblica di
Siracusa ha disposto il giudizio per concorso in violenza privata del direttore della
Direzione Centrale dell'Immigrazione e della polizia delle frontiere del ministero dell'interno, Rodolfo Ronconi, e del generale della guardia di finanza Vincenzo
Carrarini, in qualità di Capo Ufficio economia e sicurezza del Terzo Reparto operazioni del comando generale delle Fiamme Gialle. La richiesta riguarda il respingimento di 75 immigrati che tra il 29 e il 31 agosto del 2009 furono intercettati da unità navali della guardia di finanza al largo di Portopalo di Capo Passero e riportati in Libia su una nave della GdF. Secondo la Procura della Repubblica di Siracusa i due imputati, «con abuso delle rispettive qualità di pubblici ufficiali avrebbero tenuto una "condotta violenta" nel ricondurre in territorio libico, contro la loro palese volontà, 75 stranieri, non identificati, alcuni sicuramente minorenni, intercettati in acque internazionali su un natante proveniente dalle coste libiche».
La Procura di Siracusa ha chiesto e ottenuto dal Gip il proscioglimento dei militari della Guardia di Finanza che intervennero sul posto «in considerazione del fatto che avevano operato per ordini superiori non manifestamente illegittimi».
Qui ciò che interessa non è certo dare un giudizio (sia esso di natura morale, politica o giuridica) su quanto avvenuto, bensì tentare di ricostruire sulla scorta di quale ragionamento le persone coinvolte hanno agito.
Utilizzando i dispositivi concettuali forniti da Raz possiamo affermare che i singoli finanzieri avevano una serie di ragioni di primo ordine non necessariamente equivalenti, e anzi assai probabilmente molto differenti l'una dall'altra, a seconda che essi
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www.ansa.it.
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attribuiscano, per esempio, maggior importanza al valore dell'uguaglianza tra gli uomini o a quello di comunità. Da questo fatto non è seguito in alcun modo un comportamento diverso di ogni finanziere, poiché ciascuno aveva ricevuto l'ordine di agire in modo ben preciso: gli ordini sono ordini ed essi, tranne che in casi assolutamente eccezionali, vanno seguiti. In altre parole, ricevere un ordine, o seguire in genere una norma 14, significa avere una ragione escludente che impone di non agire sulla base del proprio giudizio. Da questo esempio si possono ricavare due brevi considerazioni: sebbene sia possibile negare la legittimità della scelta dei finanzieri di riconoscere l'autorità del loro comandante, è impossibile, per converso, negare la sensatezza del loro argomento.
Questa deriva dal fatto che i finanzieri hanno, come il Gip ha riconosciuto, correttamente inteso la natura dell'autorità.
Da tale esempio, tuttavia, sorgono una serie di interrogativi: da dove deriva la legittimità dell'autorità? In quale senso ciò che comanda l'autorità risulta doveroso per i sottoposti? E' esso un dovere per tutti quelli a cui è rivolto o è necessaria esaminare preliminarmente a quali condizioni una autorità si può definire tale per qualcuno? Come è possibile che essi debbano astenersi dall'utilizzare ciò che prescrive loro il proprio giudizio e, al contempo, essere in grado di giudicare se si trovano davanti a un caso normale o eccezionale? La validità dell'ordine deriva in qualche modo dall'adesione volontaria (o comunque da altre forme più o meno esplicite di consenso) da parte di chi è sottoposto all'autorità? Che ruolo svolge la sanzione, che solitamente accompagna le norme, nel ragionamento pratico, di chi è sottoposto all'autorità?
14
Come spero venga in luce nel corso del mio lavoro, lo scopo di Raz non è quello di assimilare le norme agli ordini ma gli ordini alle norme.
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I.2. Disposizioni della autorità e ragioni
I.2.1 Ragioni indipendenti dal contenuto
Il termine e il concetto di autorità verranno esaminati e chiariti nel capitolo II. Già in questo paragrafo, tuttavia, tenterò, seguendo Raz, di mettere in luce alcune sue caratteristiche, partendo, ancora una volta, dal ruolo che le disposizioni da essa emanate svolgono nel ragionamento pratico degli individui. Tali disposizioni sono considerate dagli agenti non come semplici ragioni tra le altre, tra cui scegliere allorquando si deve decidere cosa fare, né come ragioni che indicano che vi sono (ulteriori) buone ragioni per conformarsi a quanto prescrivono (questo se mai potrebbe essere parte della giustificazione della autorità), quanto piuttosto come ragioni che devono essere seguite in virtù del loro essere disposizioni dell'autorità15. Per sostenere questa tesi l'autore israeliano propone un esempio concernente la modalità di stesura di un contratto: sia posto il caso di due persone indecise se la maniera migliore per sancire un accordo sia farlo in forma scritta o orale. Essi analizzeranno in pro e i contro delle due opzioni e infine ne sceglieranno una, che Raz assume essere la seconda. Si aggiunga al quadro già delineato che subito dopo tale decisione essi scoprono che l'autorità del proprio paese ha vietato espressamente di sottoscrivere contratti oralmente. A questo punto essi non avranno altro scelta che sancire il loro accordo nella forma prescritta dalla legge. Quindi la loro decisione finale non sarà basata né sul proprio giudizio, né sulla supposizione che la modalità decretata dalla autorità sia la migliore possibile per quanto riguarda il loro caso. Agiranno secondo quanto le disposizioni della autorità prescrivono proprio perché esse sono disposizioni della autorità16.
15
Ivi, pp. 28-34.
Raz 1986, p. 29.
16
11
Queste considerazioni vengono sintetizzate da Raz, così come già aveva fatto il suo maestro L.A. Hart in Essay on Bentham17, con l'introduzione del concetto di ragioni indipendenti dal contenuto (contentent-independent reasons18): esso è applicabile in tutte quelle situazioni ove non vi è una diretta connessione tra la ragione e l'azione per la quale è una ragione. E' qui necessario segnalare anche una differenza fondamentale tra la concezione hartiana e quella del suo allievo: il primo sostiene che le norme sono ragioni dal contenuto indipendente che hanno lo scopo di «[c]ut off or exclude deliberation19»; la loro funzione sarebbe quindi quella di impedire alla persona che deve agire di pensare a cosa fare e di fornirle una ragione, indipendente dal contenuto, per agire in una determinata maniera. Raz invece, come si è visto, concepisce le norme come ragioni escludenti che non impediscono affatto al soggetto di pensare ma gli impongono una e un'unica scelta quando si tratta di agire. E' facile notare come quest'ultima soluzione appaia come quella che più è in grado di spiegare la nostra percezione delle norme.
I.2.2. Norme, ragioni e sanzioni
Nel modo in cui la teoria raziana spiega l'esempio avanzato nel par I.1.3, sorprende sicuramente il fatto che essa non faccia alcun riferimento al concetto di sanzione. Ciò contrasta con una lunga corrente di pensiero, secondo la quale uno dei tratti essenziali e dirimenti del fenomeno giuridico è il suo essere coercitivo, ovvero il fatto che esso fa ricorso alla minaccia dell'uso della forza per convincere i destinatari della norma a conformarvisi. Come afferma Nino, ricostruendo la posizione di J.Austin, uno dei principali esponenti di tale corrente: «[L]e norme giuridiche sono comandi generali formulati dal sovrano per i suoi sudditi. Tutte le norme giuridiche sono un comando o un ordine: costituiscono, cioè, l'espressione del desiderio che qualcuno si comporti in un determinato modo, e dell'intenzione di causare un danno se non si conforma al
17
Hart 1986.
Raz 1986, p.35. «A reason is content-independent if there is no direct connection between the reason and the action for which is a reason».
19
Hart 1986, pp. 253-255.
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desiderio»20. Questo fatto contrasta apertamente anche con il nostro senso comune: il modo forse più naturale di spiegare l'esempio consiste nell'affermare che l'unica ragione per cui i finanzieri hanno agito in base all'ordine ricevuto è la consapevolezza che, in caso di inadempienza, sarebbero stati puniti. Al contempo non appare contrario al buon senso ritenere che ciò che impedisce a noi stessi (o almeno a una parte considerevole della popolazione) di infrangere le leggi che si oppongono ai nostri interessi è la minaccia di ricevere la punizione che esse stesse prescrivono.
Raz espone la propria lettura in netta opposizione alla teoria della sanzione in modo tale da render conto del ruolo che la norma svolge nel ragionamento pratico. In quest'ottica il filosofo afferma «the fact that a law is backed by a sanction is never an exclusion ary reason. It is a simple first-order reason. The inevitable conclusion is that, despite that undoubted importance of sanctions and the use of force to enforce in all human system, the sanction-directed attempt explain the normativity of the law leads to a dead end. It explains one way in which laws are reasons. But it fails to explain in what way they are norm»21. A rigor di logica, infatti, come si evince dalla practice theory hartiana, se le norme fossero solo ragioni di primo grado rese efficaci dalle sanzioni esse non potrebbero essere il fondamento su cui poggiare le critiche a chi non si è conformato alle stesse: il ragionamento di un reo che afferma di aver agito contro la legge, perché i vantaggi derivanti dal disobbedire erano maggiori di quelli derivanti dal comportamento richiesto sarebbe completamente giustificato.
In altre parole concepire le norme come semplici minacce significa tralasciare che, agli occhi dell'agente, esse sono essenzialmente ragioni escludenti, ovvero ragioni in grado di escludere tutte le ragioni in conflitto con quanto la norma prescrive, sia essa sorretta da sanzioni o meno. Quando ci troviamo di fronte a una norma, generalmente, non ci chiediamo quali vantaggi o svantaggi derivano dalla sua inadempienza. Agiamo piuttosto come prescritto per il semplice fatto che vi è una norma che regola il caso in questione. 20
Nino 1996, p. 68.
Raz 1975, pp. 161-162.
21
13
Una norma, da questo punto di vista, come afferma Raz 22, ha la stessa funzione di una decisione. Quando ci troviamo a dover scegliere tra varie alternative che si escludono vicendevolmente, in primo luogo, valutiamo i pro e i contro di ciascuna di esse e, in secondo luogo, decidiamo per quella che appare più vantaggiosa. Alla domanda sul perché abbiamo scelto l'una o l'altra ci sarà facile riproporre il ragionamento svolto in precedenza (ovvero siamo in grado di giustificare la nostra decisione). Ma questo non significa affatto che ogni volta che siamo realmente davanti a una delle alternative giudichiamo sulla base degli argomenti presi in considerazione. Al contrario, ci affidiamo alla nostra decisione, proprio perché abbiamo già deliberato in merito (ossia perché abbiamo già una regola, che ci siamo dati da soli, che ci impone cosa fare). Se, ad esempio, uno studente, che si trova in condizioni di ristrettezza economica, è indeciso se completare il proprio percorso universitario nel tempo prestabilito, pur con molti sacrifici, come quello di vivere in un luogo lontano dall'università, e quindi di dover passare molte ore al giorno sui mezzi pubblici o se lavorare due giorni a settimana e laurearsi un anno fuori corso, per prima cosa valuterà i vantaggi e gli svantaggi dell'una e dell'altra ipotesi. Assumiamo che egli infine si decida per la prima. Da questo momento in avanti il suo agire sarà condizionato dalla propria decisione: infatti non ripeterà l'operazione di delibera ogni giorno, non comprerà il giornale per vedere le proposte di lavoro, né cercherà case più vicine all'università sapendo che sono troppo care. Si recherà direttamente all'università per tentare di realizzare quanto propostosi. O, il che è lo stesso, la sua decisione costituirà una ragione escludente per non agire in base ad altre ragioni e, al contempo, una ragione di primo ordine che gli impone di terminare l'università entro i termini fissati.
Come è facilmente osservabile lo studente non è sottoposto ad alcuna minaccia e pure agisce, nonostante in alcuni casi gli possa apparire particolarmente odiosa, in base alla propria decisione, ovvero in base alla regola che egli stesso si è dato.
22
Ivi, pp. 65-71.
14
Ma il fatto che la regola sia posta autonomamente o eteronomamente, così come la presenza o l'assenza di una sanzione che la sorreggano, non intacca in alcun modo la sua caratteristica peculiare di essere una ragione escludente.
I.3. L'obbligo politico
I.3.1. Il problema
Oltre alla domanda su quale sia, di fatto, il ruolo delle disposizioni dell'autorità svolto nel ragionamento pratico degli individui, Raz pone quella, complementare, dell'esistenza, in linea di principio, di un obbligo a sostenere la autorità, ovvero le istituzioni, e di obbedire alle sue leggi. Quest'ultima domanda non è sovrapponibile a quella della legittimità dell'autorità: non si tratta cioè di scoprire a quali condizioni il potere politico, il quale «[è] sempre un potere coercitivo sostenuto dall'uso di sanzioni»23, possa essere utilizzato, quanto di comprendere se, e in che misura, le leggi poste dall'autorità costituiscano un obbligo per coloro cui sono rivolte.
Prima di poter rispondere adeguatamente è necessario mettere in luce tre caratteristiche fondamentali del diritto: «legal system are comprehensive, claim to be supreme and are open system»24.
I sistemi giuridici sono onnicomprensivi perché pretendono di regolare ogni tipo di comportamento di una data comunità e non riconoscono alcuna sfera come indisponibile: «[l]egal system do not necessary regulate [di fatto] all forms of behaviour.
All that this test means is that they claim authority to do it, that is, they either contain norms which regulate it or norms conferring powers to enact norms which if enacted would regulate it»25. Essi pretendono di essere supremi in quanto «they claim authority to prohibit, permit or impose conditions on the institution and operation of all normative
23
Rawls 1994, p. 125.
Raz 1975, pp. 150-152.
25
Ivi, p. 150. L'argomento di Raz si basa sulla tesi qui solo enunciabile secondo cui «an action is regulate by a norm even if it is merely permitted».
24
15
organizations to which members of its subject-community belong»26. I sistemi giuridici sono sistemi aperti nella misura in cui «they contain norms the purpose of which is to give binding force within the system to norms which do not belong to them»27.
Queste precisazioni ci permettono di migliorare la domanda sopra avanzata: non solo ci chiediamo se vi è un obbligo di obbedire alla legge, ma anche «if we understand the obligation to obey the law as an obligation to obey the law as it requires»28.
I.3.2. Centralità dell'obbligo politico
Come già detto per political obligation Raz intende l'obbligo di obbedire alle leggi e di sostenere le istituzioni. In questo capitolo mi soffermo esclusivamente sul primo significato. Tuttavia è possibile fin da ora tracciare una linea netta di demarcazione tra essi: per obbligo di obbedire alla legge, infatti, si intende un obbligo incondizionato e generale. Esso impone cioè che i destinatari della legge si adeguino a quanto essa prescrive per il semplice fatto che essa esiste. Per comprendere l'importanza di questo concetto possiamo fare nuovamente riferimento all'inchiesta di Siracusa: se non è possibile dimostrare la sua validità, ogni finanziere deve essere in grado di fornire una giustificazione del proprio comportamento che non faccia riferimento né all'essere ordine dell'ordine, né al fatto che egli appartiene a una istituzione gerarchizzata. Su queste basi alcuni autori anarchici, ad esempio Godwin e Wolff, hanno finito per negare la autorità. Il loro ragionamento è semplice e stringente: ogni uomo capace di intendere e di volere è moralmente responsabile delle proprie azioni. Egli è il solo responsabile di ogni sua scelta e quindi «[h]e may do what another tells him, but not because he has been told to do it»29. Pertanto giustificare il proprio comportamento facendo riferimento al fatto che si è ricevuto un ordine, o che si è membri di un'istituzione che richiede obbedienza, è inappropriato perché così si finisce con l'ancorare la propria decisione al
26
Ivi, pp. 150-151.
Ivi, pp. 152-153.
28
Raz 1986, pp. 100-101.
29
Raz 1970, p. 27.
27
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giudizio altrui, quando, in realtà, è sempre il soggetto agente a scegliere 30. La loro tesi comporta che ogni azione (moralmente rilevante) deve essere valutata e giudicata da ciascun soggetto e, di conseguenza, le norme non possono essere considerate ragioni escludenti, ma solo ragioni di primo ordine31. E' possibile concludere che, secondo la teoria anarchica, il ragionamento fattuale degli individui, così come è stato ricostruito da
Raz, è ingiustificato.
D'altro canto bisogna chiedersi se ha davvero senso parlare di political obligation, ovvero di un obbligo generale e indistinto di obbedire alla legge, per così come essa pretende di essere intesa. L'argomentazione principale per affermarlo è quella secondo
«[w]here a state is relatively just one ought to support and maintain it; but disobeying the law undermines its authority, and is therefore contrary to the obligation to support just institutions»32. Ma essa è fallace in quanto «it may entail an obligation to obey certain of more politically sensitive laws. But it is a melodramatic exaggeration to suppose that every brach of law endangers the survival of the law and the order»33.
Quindi, come Raz afferma perentoriamente, “there is no obligation to obey the law”.
Questo significa che siamo costretti, come vuole la tesi anarchica, a farci guidare solo dal nostro giudizio, che non possiamo mai valutare le nostre e altrui azioni facendo riferimento al fatto che sono state compiute seguendo o ubbidendo a una regola o comando? I.3.3. Il rispetto per la legge
Le due alternative prospettate nel paragrafo precedente sembrano condurre a un vicolo cieco in quanto portano alla conclusioni paradossali che le leggi non devono svolgere alcun ruolo nelle nostre scelte o che sono l'unico elemento che va preso in
30
L'argomento anarchico verrà approfondito e criticato nel Cap. II.
Ovviamente essi possono adottare, in autonomia, leggi di ogni origine, compresa quella legale; tuttavia in questo caso esse non svolgono la funzione di ragioni escludenti in quanto è devono essere prima soppesate sul bilanciamento delle ragioni.
32
Raz 1986, p. 101.
33
Ivi, pp. 101-102.
31
17
considerazione. Per sfuggire a questi problemi Raz introduce una terza opzione, basata sul “rispetto per la legge”, capace di riempire lo iato che le separa.
Secondo Raz il fatto che non vi sia alcun obbligo di obbedire alla legge comporta che
«one may have no general moral attitude to the law – even to the good law. But there is another option equally permissible: to have respect of law»34. Molti cittadini in genere usano espressioni come «perché lo dice la legge», o «perché è la legge del mio paese» per giustificare le proprie azioni in conformità alle normative. Questo deriva non dall'attitudine alla cieca obbedienza quanto, al contrario, da quella al rispetto per la legge. Ognuno ha il diritto di rispettare (questa espressione va intesa in senso ampio: con essa non si intende tanto la reale conformità delle azioni alle legge, quanto la propensioni ad accogliere quanto esse prescrivono, al di là del proprio giudizio sul caso) la legge o meno. Coloro che si decidono per la prima opzione impongono a se stessi un obbligo condizionato, che gli altri non hanno.
Per spiegare questo concetto Raz istituisce un parallelo con quello di amicizia35. Si immagini che qualcuno affermi «Aiuterò Mario perché è mio amico». La sua asserzione ci appare perfettamente normale. Con essa noi capiamo che, rispetto a chi non conosce
Mario, ha più ragioni per prestare il suo aiuto e, al contempo, che intrattenere un rapporto di amicizia comporta avere dei doveri. Sappiamo anche dalle nostra moralità condivisa che è più che lecito non avere amici (e quindi non avere quegli obblighi che l'amicizia impone).
Similmente l'attitudine a rispettare il diritto è una scelta soggettiva, non obbligatoria, ma che, una volta compiuta, impone degli obblighi immanenti alla relazione stessa.
Inoltre il rispetto per la legge è una ragione per l'azione. «[T]hose who respect the law have reasons which others have not. […]. They express their respect for the law in obeying it»36. Il rispetto per la legge è quindi uno dei modi in cui un cittadino può mostrare la propria fedeltà alla società. Esso è una manifestazione di fiducia, in quanto presuppone la credenza che l'autorità di quella società abbia decretato per il meglio.
34
Raz 1979, p. 250.
Ivi, pp. 253-256.
36
Ivi p. 259.
35
18
Capitolo II
La natura dell'autorità
II.1. Razionalità, autonomia e autorità
La caratterizzazione delle disposizioni dell'autorità come ragioni escludenti non solo porta alla messa in discussione della validità della loro accettazione sul piano morale, ma anche su quello razionale. Esse, infatti, impediscono ai destinatari di agire sulla base di ragioni che ritengono, a seconda dei casi, valide in quanto vere o giuste. I finanzieri potevano voler agire in base al dovere che ogni uomo ha di accogliere un proprio simile in difficoltà. I compagni di Ulisse potevano essere convinti che passare attraverso lo stretto di Messina, sfidando Scilla e Cariddi, fosse troppo rischioso e che pertanto fosse preferibile circumnavigare la Sicilia.
Questo problema è noto nel dibattito contemporaneo con il nome di paradosso dell'autorità: «[T]o be subject to authority is incompatible with reason, for reason requires that one should always act on the balance of reason of which one is aware. It is of the nature of authority that it requires submission even when one thinks that what is required is against reason. Therefore, submission to authority is irrational. Similarly the principle of autonomy entails action on one's own judgement on all moral questions.
Since authority sometimes requires action against one's judgment, it requires abandoning one's moral autonomy. Since all practical questions may involve moral considera tions, all practical authority denies moral autonomy and is consequently immoral»37.
Vari autori hanno tentato di risolvere questo paradosso. Le strategie principali sono state quelle di negarne in linea di principio la validità, di restringere la portata dei concetti di autonomia o autorità e, al converso, di caratterizzare l'autorità in modo tale che la sua esistenza aumenti la possibilità di conformità a razionalità e autonomia.
37
Raz 1979, p. 3.
19
I pensatori, come Ladenson38, che si rifanno alla teoria hobbesiana ritengono che il paradosso non sia realmente tale, perché l'effettività della autorità è condizione necessaria e sufficiente della sua legittimità. Compito dell'autorità è assicurare le condizioni di possibilità della normalità; essa lo mette in essere nel momento stesso in cui riesce a porsi come tale, ossia quando esercita un potere effettivo sui sottoposti e ne riesce a guadagnare l'obbedienza. Non vi è alcuno scandalo, pertanto, se le sue direttive
(che in questo quadro teorico si configurano come minacce) impongono loro di agire irrazionalmente o eteronomamente.
I critici di Wolff, tra i quali è possibile menzionare Shapiro39, ritengono che il paradosso può essere risolto, o almeno ricondotto a semplice contrasto, riducendo lo spettro del concetto di autonomia. La loro argomentazione è basata su due argomenti: innanzitutto se anche il paradosso fosse reale e, pertanto, dal punto di vista analitico, si dovesse rigettare il concetto di autorità, il mondo rimarrebbe comunque troppo complicato per potervi agire senza far riferimento alle altrui competenze o saperi; inoltre, più in profondità, se è vero che talvolta obbedire alle disposizioni della autorità è irrazionale, è altrettanto vero che talvolta non obbedirvi è irrazionale. Essere autonomi significa agire sempre e solo in base al proprio giudizio sul caso, ovvero sulle ragioni dipendenti di cui si è a conoscenza, mentre essere razionali significa agire in base alle ragioni che realmente si applicano al caso. Se l'autorità (pratica o teoretica) è in una posizione privilegiata per comprendere quali esse sono, è più razionale agire in base alle ragioni che questa è in grado di fornire.
Un ulteriore tentativo è stato quello di ridurre la portata delle pretese della autorità, mostrando come essa, in realtà, esiga solamente di addurre buoni motivi in grado di modificare il bilanciamento delle ragioni. Secondo questa impostazione, di chiara derivazione platonica, se l'autorità è davvero sapiente, ovvero esperta nel campo che pretende di regolare, è razionale40 per il destinatario delle norme conformarvisi. Le
38
Ladenson 1990, pp. 32-40.
Shapiro 2002, pp. 388-391. Questa critica ha un valore puramente strumentale all'interno dell'opera di Shapiro.
40
Va notato che in un'ottica platonica, razionalità e giustizia non sono mai pienamente distinguibili, in quanto entrambe hanno a comune fondamento l'Idea del Bene.
39
20
norme in questo caso non sono altro che meri consigli (e quindi reasons for belief) che non impongono alcun comportamento.
Queste strategie, tuttavia, non sono in grado rendere conto della complessità degli elementi coinvolti nel paradosso. Le teorie hobbesiane non tengono in considerazione il fatto che «the notion of de facto authority cannot be understood except by reference to that of legitimate authority»41. Esse si basano sull'assunto che detenere fattualmente l'autorità non significhi altro che esercitare potere, attraverso minacce e comandi, sulle persone. Ma questo conclusione è falsa, poiché ogni autorità realmente esistente pretende il diritto di vincolare i suoi soggetti e può mantenere la propria posizione solo se buona parte di essi è disposto a riconoscere tale pretesa: una multinazionale, ad esempio, può essere in grado di esercitare una potente inf luenza o controllo su determinate persone o territori, ma non per questo si ritiene per loro un'autorità, titolata cioè a imporre loro obblighi, né pretende di esserlo. In altre parole un'autorità è tale se richiede ai suoi sottoposti di essere riconosciuta non come mero potere, ma come autorità che può legittimamente vincolare le loro azioni. O, il che è lo stesso, non può esistere un'autorità di fatto che, nel porre le proprie disposizioni, non debba fare riferimento a un piano extra-fattuale.
Anche le tesi di derivazioni platonica devono essere scartate a causa della loro incapacità di spiegare tre importanti caratteristiche dell'autorità pratica, che ho messo in evidenza nel capitolo precedente: essa pretende di obbligare anche quando i suoi ordini sono (o appaiono) sbagliati, fornisce ragioni per l'azioni e non mere ragioni per credere e, infine, chi detiene l'autorità, nell'impartire le proprie disposizioni, lo fa appellandosi alla posizione che occupa e non alle qualità personali che lo contraddistinguono. Non vi è cioè alcun nesso concettualmente necessario tra l'essere esperti e l'avere autorità; vi è invece tra l'essere in una posizione autoritativa e avere la pretesa di essere obbediti. Su questo punto si potrebbe obiettare che l'essere esperti è condizione di legittimità dell'autorità pratica: la disposizione è legittima solo se chi dispone è più esperto del ricevente. Ma questa obiezione non è conclusiva poiché non è in grado di spiegare il
41
Raz 1986, p. 27.
21
carattere prescrittivo delle disposizione emanate dall'autorità nel momento in cui essa decide su di un argomento in cui, in linea di principio, non è richiesta alcuna conoscenza. Un tipico caso è offerto dai problemi che sorgono dalla mancanza di coordinazione: le regole «bisogna dare la precedenza a destra» o «bisogna dare la precedenza a sinistra» sono equivalenti e non c'è alcun motivo per preferire l'una o l'altra; tuttavia le autorità italiane impongono che si dia la precedenza a destra e pretendono di essere obbedite.
I critici di Wolff non risolvono il paradosso perché, anche riducendo lo spettro di applicazione dell'autonomia, rimane il fatto che vi sono casi in cui chi agisce è, a ragion veduta, certo che il proprio giudizio sia più razionale di quello dell'autorità. Eppure è costretto a sottomettervisi.
Da queste tesi inadeguate è, tuttavia, possibile estrapolare tre qualità dell'autorità che, seppur non comprese all'interno della formulazione del paradosso, ne costituiscono le premesse implicite e la cui analisi è condizione della sua risoluzione. Esse sono sapienza, sistematicità e discrezionalità. Il mio tentativo di ricostruire la nozione di autorità avanzata da Raz sarà riuscito se, alla fine del lavoro, saranno almeno parzialmente chiariti i ruoli e le relazioni reciproche di questi tre concetti.
II.2. La concezione raziana dell'autorità
II.2.1. Tre condizioni di legittimità
Raz tenta di risolvere il paradosso, da un lato, riconducendo l'astratta nozione di razionalità a quella di conformità alle ragioni che si applicano al caso e, dall'altro, ponendo alcune condizioni entro le quali l'esercizio dell'autorità può dirsi legittimo.
Per introdurre tali condizioni egli propone di esaminare il caso, a sua avviso paradigmatico, della risoluzione di una controversia a opera di un giudice cui si rivolgono, di comune accordo, due persone. Il suo giudizio fornisce alle parti una
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ragione per l'azione. Questa però non viene creata ex novo dal giudice; essa è, al contrario, fondata sulle ragioni coinvolte nel caso e il suo scopo è proprio quello di rifletterle e sintetizzarle. Di conseguenza il suo giudizio non è una ragione che si aggiunge alle altre; è anzi una ragione che le rimpiazza (o meglio una ragione nella quale le precedenti ragioni confluiscono). Da un'altra prospettiva, si può affermare che, una volta che il giudizio è stato dato, non è più possibile giustificare il proprio comportamento sulla scorta delle ragioni che esso ha rimpiazzato. Le due caratteristiche messe in luce vengono sintetizzate da Raz denominando la decisione del giudice una ragione dipendente e sostituente (depend and pre-emptive reason). Queste forniscono il modello sul quale si dovrebbe basare l'autorità42:
La tesi della dipendenza: tutte le direttive autoritative debbono basarsi, tra gli altri fattori, sulla base di ragioni che si applicano ai soggetti di tale direttive e che riguardano le circostanze cui le direttive si riferiscono. La tesi della sostituzione: il fatto che un'autorità richieda che venga compiuta un'azione è una ragione per il suo compimento che non deve essere aggiunta alla altre ragioni pertinenti quando bisogna stabilire cosa fare, ma deve escludere e rimpiazzare alcune di queste.
A queste tesi Raz ne aggiunge un'altra di natura normativa al pari della seconda:
La tesi di giustificazione normale: il modo normale e principale per stabilire che una persona debba essere riconosciuta autorità su di un'altra persona richiede che si mostri che la persona che si suppone essere soggetta all'autorità possa probabilmente conformarsi in modo migliore alle ragioni (ulteriori rispetto alle direttive della presunta autorità) che le si applicano se accetta le direttive della presunta autorità come autoritativamente vincolanti e cerca di seguirle, piuttosto che se tenta di seguire le ragioni che si applicano direttamente a lei.
La prima e la terza condizione si rafforzano reciprocamente in quanto la tesi della dipendenza non fa altro che ribadire che in tutti i casi l'autorità deve porre le proprie direttive per il motivo stesso per cui essa viene costituita. Ovvero essa ribadisce che la tesi della giustificazione normale deve essere valida in ogni caso: non vi è alcun
42
Utilizzo la traduzione di Schiavello 2005.
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momento, a differenza di quanto accade nelle teorie contrattualistiche, in cui il formarsi dell'autorità comporta un radicale cambiamento nei diritti e doveri del singolo verso gli altri singoli e verso le istituzioni, tale per cui le ragioni che si applicavano in precedenza ai casi vengono modificate totalmente.
Queste due tesi «[a]rticulate the service conception of the function of authorities, that is, the view that their role and primary normal function is to serve the governed »43. Ma l'autorità può servire realmente i governati solo se è in grado di offrir loro ragioni per l'azione che non si aggiungono banalmente alle altre ragioni che si applicano al caso (in questo modo l'onere del giudizio ritornerebbe al singolo interagente) bensì, al contrario, che le le rimpiazzino.
II.2.2. Il servizio dell'autorità
Questi paragrafi forniscono la chiave di volta per comprendere la concezione raziana dell'autorità: il suo scopo è quello di mediare tra le ragioni e le persone; il mezzo che essa utilizza è quello di porre norme. Queste, di conseguenza, non sono vincoli che inibiscono l'azione dei soggetti ma, primariamente, ragioni di livello intermedio, che suggeriscono loro cosa fare allorquando si tratta di decidere cosa fare in concreto. Sono qui in gioco molteplici piani che si intrecciano e rafforzano reciprocamente ma che non vanno confusi: le norme sono regole e, in quanti tali, come è stato mostrato da Hart, forniscono il criterio di intelligibilità delle azioni proprie e altrui e il sistema di regole che governa una società costituisce il reticolo fondamentale in cui (e grazie al quale) un membro può pianificare la propria vita; ma le norme, in quanto disposizioni dell'autorità, se essa ottempera alle tre condizioni, sono anche e sopratutto ragioni per l'azione sempre disponibili (in quanto poste pubblicamente) che impongono o escludono ai destinatari alcuni modelli di comportamento, senza i quali non sarebbe possibile per gli stessi realizzare le ragioni più profonde che li animano. La differenza diviene manifesta nel momento in cui viene posta una nuova norma che si sovrappone ad alcune
43
Raz 1986, pp. 55-56.
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pratiche o norme fino a quel momento vigenti: essa deve, da un lato, essere in grado di riflettere le ragioni sottese alle stesse e, dall'altro, riuscire effettivamente a imporsi nel ragionamento pratico degli individui, cosicché per gli stessi sia più facile realizzare i propri scopi ultimi e valori. La validità di queste ultime, di conseguenza, non deriva, come prescrive la practice theory hartiana, né dal loro essere regolarmente seguite all'interno di una comunità, né dal fatto che alla loro trasgressione segue di norma una critica da parte degli altri membri della comunità; piuttosto essa riposa sul fatto che sono state poste dall'autorità di quella comunità.
Tali indicazioni permettono di comprendere meglio il ruolo delle ragioni della ricostruzione raziana della realtà sociale e in che senso esse sono fatti: il singolo agente, l'uomo, ha davanti a sé, da un lato, valori44 e oggetti, passibili di divenir per lui fini ultimi, e dell'altro, norme che gli permettono di tracciare una linea progettuale che renda questi fini realizzabili. Questi elementi, ossia le ragioni profonde e quelle di livello medio, sono in ugual misura “fatti”, perché la loro sussistenza è indipendente dal loro essere riconosciuti come tali e perché sono disponibili a colui che vuole agire razionalmente. E' importante qui sottolineare alcune implicazioni della service conception: se le norme sono giustificate solo se riflettono ragioni che già indipendentemente si applicavano ai soggetti e se esse devono essere vincolanti per tutti i destinatari cui si rivolgono e quindi, dato il “fatto del pluralismo”, a persone che non condividono la stessa concezione del bene, il loro compito non è quello di uniformare ma è anzi quello di permettere la diversità: l'autorità deve fornire ragioni intermedie a persone portatrici di diversi fini, interessi e valori. Anzi la sua azione può dirsi efficace e legittima quando riesce a riconoscere, proteggere e implementare quelle norme che permettono a persone differenti di vivere nella stessa società e di realizzare i propri fini.
In quest'ottica, per il singolo agente conformarsi alle disposizioni autoritative significa affidarsi a un giudizio che accresce la possibilità di realizzare i propri interessi e scopi: ciò appare perfettamente conciliabile tanto con l'autonomia, che non viene messa da
44
Il concetto di valore svolge un ruolo essenziale nella teoria raziana e buona parte della sua ricerca si sviluppa attorno a esso; per il mio scopo è tuttavia sufficiente comprendere in che senso i valori sono ragioni.
25
parte grazie alla tesi della sostituzione, quanto con la razionalità, la cui realizzazione è vincolata al darsi di una autorità giustificata e legittima.
Per comprendere questi passaggi è fondamentale notare che la proposta raziana ha in prima istanza lo scopo di giustificare in linea di principio l'autorità e, di conseguenza, il suo interesse è incentrato sul ragionamento pratico piuttosto che sull'agire in senso stretto. In particolare le tesi della sostituzione e della dipendenza hanno senso solo se si guarda a come l'uomo determina la propria azione piuttosto che a come agisce di fatto o, in altre parole, se si osservano le ragioni che sono realmente coinvolte nella situazione, al di là della percezione o debolezze del soggetto. D'altra parte la tesi della giustificazione normale fornisce anche una risposta alle mancanze del singolo soggetto, in quanto non si afferma banalmente che essa lo deve rendere consapevole delle ragioni che si applicano al caso in questioni, ma che deve fornire ragioni per l'azione che lo vincolino a conformarsi con le ragioni realmente in questione. Più specificatamente Raz enuncia cinque modi45 in cui l'autorità politica è in grado di realizzare il proprio scopo sotto la condizione della giustificazione normale.
L'autorità può regolare molteplici campi in cui sono necessarie conoscenze diverse che non possono essere possedute da un singolo e ha maggiori probabilità di mantenere la propria volontà costante, incurante di pressioni e tentazioni. Può fornire ai propri sottoposti standard cui conformarsi e quindi togliere loro il difficile onere di ricercare i mezzi, ovvero le strategie, adatte a realizzare i propri fini, e risparmiando loro l'ansia, il tempo e le risorse che vengono spese per ogni decisione. Può infine realizzare, grazie alla propria posizione privilegiata, quei fini che per il singolo agente sono irraggiungibili. II.2.3 Ampliare la nozione di legittimità: il consenso
Secondo la service conception la pretesa dell'autorità di vincolare i propri sottoposti è legittima solo se così facendo essi hanno maggiori probabilità di realizzare le ragioni
45
Raz 1986, p. 75.
26
che già indipendentemente si applicano ai loro casi. E' necessario chiedersi quale sia il grado qualitativo e quantitativo delle leggi che possono essere giustificate attraverso di essa e se, e in che modo, le leggi escluse devono essere seguite dai suoi sottoposti. La tesi della giustificazione normale riesce a ricomprendere in sé tutti casi in cui il vantaggio della loro applicazione è evidente (ad esempio i cittadini hanno maggiori probabilità di educare al meglio i propri figli, al di là delle proprie disponibilità economiche e di di tempo, permettendo loro di andare a scuola per tutto il periodo che l'obbligo scolastico prevede); essa è parimenti applicabile a quelle situazioni in cui il vantaggio non è, a causa dell'alto livello di burocraticizzazione che contraddistingue le nostre società, immediatamente osservabile: un caso emblematico è quello della tassazione, in quanto è evidente che ogni persona ha, indipendentemente dal darsi dell'autorità, ragioni per non trattenere per sé l'intero frutto del proprio lavoro, sia di natura strettamente strumentale (avere infrastrutture, ospedali, etc), sia di natura morale,
(aiutare i membri più svantaggiati della società46); la norma secondo cui bisogna fornire i dati dei propri guadagni entro una determinata data oppure quella secondo cui è lecito, ove si abbiano indizi di dolo, che lo Stato perquisisca un'azienda di una persona, anche se questa è in realtà innocente, possono essere facilmente ricondotte all'interno del perimetro designato dalla tesi. L'autorità, infatti, necessita di strumenti che le permettano di realizzare quanto si propone (e dunque deve) fare.
Tuttavia la normal justification thesis non può, né è questo il suo scopo, giustificare ogni aspetto dei moderni sistemi giuridici, né ogni tipo di disposizioni emanate dalle autorità, siano esse giuste o ingiuste. Infatti, se da una parte, come si è detto, essa dipende in larga misura dalle abilità, dalle conoscenze e dalla forza d'animo individuali, dall'altra parte, le leggi sono generalmente47 rivolte a tutta la popolazione e non tengono conto di tali differenze. Le autorità, quindi, pongono spesso norme che in linea di principio sono all'infuori della propria autorità: in questi casi l'agire conforme a norme è
46
Sarò compito del capitolo successivo mostrare come l'efficacia nel compiere quanto propostosi sia fondamentale per la giustificazione dell'autorità.
47
I casi in cui la legge stessa pone delle differenziazioni, come quella secondo cui, a seconda del numero di anni da cui si è ottenuta la patente, si devono rispettare limiti di velocità differenti, sono assai ridotti e dunque trascurabili; inoltre anch'esse sono in larga parte frutto di una generalizzazione.
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irrazionale. Eppure molti destinatari, pur consapevoli di questo fatto, decidono di farlo.
Ne segue che o essi sono irrazionali tout court o che ai loro occhi vi sia una ragione per seguire una norma in quanto norma (e quindi per concepirla come ragione escludente) ulteriore rispetto a quelle supposte dalla normal justification thesis. Raz individua questa ragione addizionale nel consenso.
Importanti autori come Locke e Hobbes hanno poggiato la propria concezione del consenso su un piano strumentale, secondo il quale gli atti di consenso hanno lo scopo di realizzare, o preservare, gli interessi delle parti; in quest'ottica, quindi, un atto di consenso ha senso solo se si ritiene che con esso vi sono maggiori probabilità che si realizzino le ragioni che già indipendentemente si applicano al soggetto. A tale concezione Rousseau ha opposto la propria, sostenuta da Raz, secondo la quale il consenso, a determinate condizioni, è in grado di istituire, ovvero costituisce, una relazione capace di determinare aspettative e vincoli reciproci che non sussisterebbero in sua assenza. L’autore isrealiano qui pensa a tutte quelle relazioni in cui l'acconsentire48 è condizione del darsi o del perpetrarsi di pratiche condivise. Tra questi è possibile annoverare l'istituzione della figura del capitano in una squadra di calcio amatoriale. Il regolamento richiede che vi sia, per ogni partita, un giocatore, individuabile da una fascia sul braccio, che compia alcuni atti formali (a esempio quello di scegliere tra «palla o campo»). Tuttavia si è imposta una pratica secondo la quale viene designato come capitano il leader (individuato con criteri di anzianità, carisma, intelligenza, etc.) della squadra stessa. Ciò che fa di lui il capitano è il fatto che gli altri membri lo riconoscano come tale, ovvero che diano il proprio consenso a tale investitura non tanto (o meglio non solo) con un atto singolo di riconoscimento, ma attraverso una serie di comportamenti reiterati (tra cui non possono mancare alcune forme di obbedienza) che lo attestano. La relazione tra il capitano e gli altri membri vive solo nella misura in cui tale consenso è dato, impone degli obblighi reciproci («bisogna rispettare i consigli del capitano» oppure «il capitano deve avere un comportamento
48
Raz 1986, p. 81.«[C]onsent is given by any behavior (action or omission) undertaken in the belief that it will change the normative situation of another, it will do so because it is undertaken with such a belief and it be understood by its observers to be of this character».
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esemplare»); ma, e qui sta il punto, non esiste necessariamente. Una squadra può giocare, e anche raggiungere i propri obbiettivi, senza una tale figura. Essa, tuttavia, può svolgere importanti funzioni come quella di collante o di modello per il gruppo. Il suo darsi pertanto non è condizione di esistenza della squadra ma, al contempo, è in grado di creare obblighi o comunque ragioni addizionali, che altresì non sussisterebbero49.
Di natura simile è il consenso che il cittadino dà o nega alle proprie istituzioni. Per esporre tale concetto Raz affronta due questioni preliminari. In primo luogo esso per essere valido, in linea teorica, deve essere dato liberamente, ovvero si deve dare la possibilità dell'alternativa o del dissenso. Un atto estorto con un ricatto o una minaccia non può essere un atto di consenso, perché questo, per definizione, non si esaurisce con un comportamento esternamente osservabile, ma richiede il convincimento del soggetto stesso. In secondo luogo il conferire diritti attraverso il consenso non comporta, per converso, che la responsabilità per i comportamenti immorali o irrazionali che il portatore di tali diritti può tenere50.
Un singolo può ritiene che siano da considerarsi valide tutte le leggi di una società, comprese quelle che con certezza sa essere irrazionali o ingiuste, ovvero che tutte le norme che regolano la sua società vanno concepite come ragioni escludenti, se considera il consenso come una parte costituente della propria relazione con la società stessa. Il cittadino può esprimere il proprio consenso all'autorità attraverso varie attitudini (attitudes), tutte riconducibili alla nozione di identificazione. Esse sono per lo più di natura convenzionale, ossia assumono nella maggior parte dei casi forme ritual istiche, che hanno proprio la funzione di permettere di mostrare la propria fedeltà alla società, e tra queste spicca certamente quella di obbedire alla legge così come lei pre tende di essere obbedita: «[U]ndertaking an obligation to oby the law is an appropriate means of expressing identification with the society, because it is a form of supporting
49
Va notato che il consenso non è una fatto, dato o negato una volta per tutte, ma un processo che si sviluppa nel tempo. 50
Il punto è più problematico di quanto Raz stesso non lo voglia far apparire. Si pensi ad esempio alla discussione seguita alla fine della seconda guerra mondiale circa le responsabilità della popolazione tedesca, dei tedeschi nazisti, dei soldati tedeschi e dei loro comandanti per le azioni compiute dal regime hitleriano. Questo non è certamente il luogo per risolvere questa questione: a mio avviso tuttavia si può e si deve compiere una distinzione, tralasciata da
Raz, tra le responsabilità dei tedeschi che hanno dato il proprio appoggio a Hitler nei primi anni della sua scesa e quelli che hanno continuato a fornire, con gli atti e con le parole, il proprio consenso e appoggio al regime.
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social institution, because it conveys a willingness to share in the common ways established in that society as expressed by its institutions, and because it expresses confid ence in the reasonableness and good judgment of the government through one's willingness to take it on trust, as it were, that the law is just and that it should be complied with»51. La nozione di consenso, inteso come elemento costituente, è in grado così di ampliare la stretta nozione di validità derivante dalla normal justification thesis. Ma ciò non significa che questa deve passare in secondo piano: gli obblighi derivanti dal fatto di fornire il proprio assenso sono validi solo se l'autorità è in genere giusta, ovvero se governa essenzialmente all'interno del perimetro delineato dalla service conception.
Diventa allora essenziale per l'autorità riuscire a dimostrare con gli atti che essa è in grado di assicurare ai governati quei vantaggi per cui la necessità della sua esistenza si impone. 51
Ivi, p. 92.
30
Capitolo III
Dietro la nozione di autorità: le condizioni della sua efficacia
III.1. Autorità ed efficacia
III.1.1. Autorità come autorità sistematica
Fino a questo momento ho cercato di esporre e testare il quadro teorico avanzato da
Raz in termini di coesione e coerenza interna. E' giunto ora il momento di esaminare la reale portata del suo concetto di autorità nella vita privata e collettiva delle persone, al fine di capire quand'è che un'autorità svolge efficacemente il suo compito. La risposta non può prescindere da un'osservazione banale: solo chi detiene un'autorità di fatto, ossia solo colui (o ciò) che ha effettivamente modo di influenzare il comportamento di alcune persone e di cambiare la loro posizione normativa in maniera significativa può rivendicare di essere riconosciuto come autorità legittima. Nel caso esposto nel par.
II.2.1 ho supposto che le parti si recassero volontariamente da un arbitro scelto di comune accordo; la validità del giudizio sembrerebbe così vincolata a un accordo previo tra le parti. La concezione raziana, invece, apre uno scenario tale per cui la validità deriva dalla capacità dell'autorità di porsi come tale, ossia di essere accettata dalle parti come titolata a risolvere la controversia o, più generalmente, a richiedere azioni.
In altre parole l'autorità deve dar prova di sé come autorità: è necessario quindi che essa sia in grado, tanto nei casi in cui è richiesto il suo intervento dai sottoposti, quanto in quelli in cui è lei stessa a imporre il proprio giudizio su un determinato ambito sociale, di prendere le decisioni corrette al fine di mostrare ai suoi sottoposti che è per loro razionale e giusto conformarvisi.
31
Invertendo il punto di osservazione, un'autorità giudicata inaffidabile52, incapace di realizzare almeno un livello minimo di coordinazione o di dimostrare che in un numero significativo di casi il proprio giudizio è effettivamente quello che soddisfa maggiormente criteri di efficienza, intelligenza e giustezza, non può definirsi realmente tale. Si badi questa tematica non va confusa con quella dei modi in cui un'autorità può detenere la propria posizione: la storia, prima ancora delle scienze sociali, fornisce moltissimi esempi di come tale fine può essere raggiunto; essa piuttosto, come detto, concerne le condizioni di possibilità del darsi e del mantenersi di un'autorità completamente o parzialmente legittima.
Per condurre tale ricerca è necessario ricapitolare alcuni elementi venuti alla luce dall'analisi delle opere raziane svolta nei capitoli precedenti: i sistemi giuridici sono onnicomprensivi, aperti e pretendono di essere supremi; solo chi detiene di fatto l'autorità può richiederla; chi richiede di essere visto come autorità non lo fa appellandosi immediatamente ai propri (supposti) meriti o esperienze ma attraverso il richiamo alla propria posizione sovra-ordinata; la funzione principale dell'autorità è quella di servire i governati in modo efficace. Combinando tali elementi è facile notare come negli Stati moderni53 sia il diritto, inteso come sistema giuridico, a svolgere primariamente la funzione di autorità. Il diritto è infatti quell'insieme di regole che svolge le fondamentali funzioni di prevenire i comportamenti indesiderati e permettere quelli indesiderati, fornire facilitazioni per gli accordi tra privati, (ri)distribuire beni ed elargire servizi, regolare e risolvere le dispute che nascono in ambiti sociali non ancora o non pienamente giuridificati (ovvero non autoritativamente regolati)54o, in una parola,
52
Questo punto permette di comprendere meglio quanto detto nel Cap. I circa la preferibilità della caratterizzaziano raziana della norme come ragioni escludenti piuttosto di quelle hartiana che le concepisce come dispositivi che inibiscono la deliberazione degli individui: se accettassimo quest'ultima formulazione sarebbe impossibile per loro giudicare l'efficacia delle norme, in quanto essi non avrebbero la possibilità di elaborare un modello contro-fattuale da confrontare con quello richiesto.
53
L'argomento raziano è in prima misura rivolto a fornire una concezione dell'autorità capace di offrire e offrirci una plausibile ricostruzione di tale concetto e suo ruolo nella nostra auto-comprensione di membri di uno Stato occidentale. 54
Raz 1979, pp. 170-175.
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di servire coloro cui si rivolge. Lo scopo di questo capitolo è comprendere perché, e in quale misura, il diritto è in grado di svolgere efficacemente questa funzione.
Raz afferma che la risposta è da rintracciarsi nella natura intrinsecamente sistematica del diritto o, per meglio dire, nella sua caratteristica dirimente di avere al proprio interno non solo norme che regolano il comportamento dei sottoposti, ma anche norme che istituiscono gli organi primari (i tribunali e i parlamenti55) e che regolano l'attività di quest'ultimi. Questi organi non sono un mero accessorio del sistema giuridico, né la necessità della loro presenza è da rintracciarsi in fattori antropologici o di altro tipo che rimandano a condizioni esterne al sistema giuridico, ma ne sono parte, dal punto di vista logico-concettuale, fondamentale e fondante. In altre parole la capacità del sistema giuridico di regolare, proibire e permetter i comportamenti degli individui riposa sulla presenza al proprio interno di organi capaci di giudicare, sulla scorta di regole, autoritativamente i loro comportamenti. Per spiegare il nesso intercorrente tra le singole norme di comportamento e gli organi primari56, l'autore israeliano introduce un modello contro-fattuale molto efficace: egli propone di analizzare un ipotetico sistema giuridico di discrezione assoluta (system of absolute discretion), ossia un sistema giuridico del tutto uguale a quelli che conosciamo, tranne per il fatto che in esso gli organi primari sono chiamati a risolvere le controversie non in base a regole, procedure o precedenti ma solo in base alla propria opinione. Un sistema siffatto differisce in maniera sostanziale da quelli realmente esistenti perché non è in grado di fornire alcun tipo di guida ai cittadini. Infatti se i tribunali non sono tenuti a seguire alcun comune standard di valutazione, i cittadini non possono essere in grado di pianificare le proprie azioni attraverso la legge: un giudice che nutre simpatia per il movimento politico dei levellers potrebbe, per esempio, negare la validità di un testamento di una persona facoltosa con la motivazione che la sua attuazione reitererebbe una disuguaglianza sociale, e così vanificare i successi e le fatiche del firmatario, nonché i piani di vita dei suoi eredi.
55
Come ho spiegato nel Cap. II questi due tipi di organi sono, nell'ottica raziana, assimilabili in quanto il loro ruolo è quello di fornire ragioni per l'azione che si basano su ragioni che già, indipendentemente dal darsi della legge stessa, si applicano ai coinvolti; tuttavia è indubbio che l'autore israeliano quando utilizza tale espressione ha in mente primariamente l'attività giurisdizionale.
56
Raz 1975, pp. 137-141.
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Il diritto oltre ad essere costitutivamente sistematico è così anche intrinsecamente progettuale da (almeno) due punti di vista: in primo luogo esso pretende di avere un'autorità illimitata non nel senso che di fatto regola, permettendola o vietandolo, ogni azione, ma nel senso che si riserva la possibilità di intervenire o re-intervenire su ogni ambito; in secondo luogo pretende di guidare l'azione per permettere l'inter-azione e la progettazione di azioni. A mio avviso questo caratteristica del sistema giuridico, che è alla base della nozione raziana di autorità, non viene affrontata, al pari delle sue conseguenze, in maniera soddisfacente dall'autore israeliano. Le norme riescono a coordinare gli scopi e le interazioni dei destinatari non solo grazie al fatto che sono inserite in un sistema di norme ma in un sistema di norme generali. Con le parole di
Virginio Marzocchi se «[a]nche solo da un punto di vista di generalizzazione fattuale, è possibile sostenere che qualsiasi azione o piano di azioni di un singolo agente può conseguire il proprio scopo, solo in quanto è in grado di riconnettersi/coordinarsi, con le azioni o i risultati delle azioni di altri»57 allora «[s]olo norme pubbliche e generali sono in grado di assolvere al compito di produrre una reiterazione tale da consentire una stabile coordinazione, un ingranarsi delle proprie con le altrui azioni»58. Raz non nasconde la propria predilezione per l'attività delle Corti e, più in generale, per i sistemi giuridici basati sul common law. Tale impostazioni gli impedisce di notare come la coordinazione delle azioni non può avvenire se non attraverso l'elaborazione di norme generali poiché, altrimenti, da un lato sarebbe per l'individuo estremamente complicato riuscire effettivamente a pianificare le proprie azioni in un universo di casi e norme particolari e, dall'altro lato, un insieme di norme non generali è incapace di fornire ragioni intermedie che possano essere fatte proprie da tutti i gruppi della società, poiché i loro contenuti sarebbero inevitabilmente legati alle pratiche storicamente consolidatesi.
Dalla natura sistematica e progettuale del diritto si può inoltre ricavare un'altra importante tesi mai pienamente espressa da Raz: un individuo non si trova mai realmente davanti a una regola ma sempre a un insieme di regole (questo non è il sistema giuridico nel suo complesso, ma una serie di regole che insistono sullo stesso
57
Marzocchi 2004, p. 171.
Ivi, p. 173.
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campo sociale). La constatazione di questo fatto, ossia del principio secondo il quale le conseguenze della nostra scelta di conformarsi o meno a una determinata norma non può essere, data la sua costitutiva interrelazione con le altre norme, da noi previste, può svolgere il ruolo di ragione addizionale ad obbedire alla legge, per così come essa pretende di essere obbedita, che Raz ha cercato e trovato nel rispetto per la legge e nel consenso. L'autorità, infatti, pensa alla realtà sociale come una realtà già normalizzata, ovvero ove le norme già svolgono il ruolo di ragioni escludenti nel ragionamento pratico degli individui e, forte di questa posizione, innesta le nuove norme su quelle già esistenti; i contenuti di questo lungo e complesso processo sfuggono agli individui
(come si è visto una delle ragioni che rende necessario il darsi di un'autorità è quello di evitare ai sottoposti di spendere tempo e risorse per comprendere cosa è giusto o razionale fare) e, di conseguenza, essi non possono conoscere le conseguenze della loro inadempienza a una determinata legge: riconoscere l'autorità della legge pertanto estende il vincolo di reciprocità di ogni norma a tutte le altre norme che regolano il campo che essa pretende di regolare.
III.1.2. Condizioni di efficacia delle norme
Al di là di queste considerazioni ciò che qui interessa è mostrare per quali ragioni il diritto riesce a svolgere efficacemente la propria funzione di autorità. La soluzione ha da rintracciarsi sia, come detto, nella presenza al suo interno degli organi primari, sia nella forma e nel contenuto delle norme. Una norma è in grado di essere autoritativamente vincolante solo se «[è], o almeno è presentata come, il punto di vista di qualcuno riguardo al modo in cui coloro che sono ad essa soggetti dovrebbero comportarsi» ed è possibile «[i]dentificare la direttiva emanata dalla presunta autorità senza far affidamento sulle ragioni o sulle considerazioni in relazione alla quali la direttiva si propone di deliberare»59. Sia l'una che l'altra caratteristica sono strettamente connesse con il ruolo di mediazione dell'autorità: se le norme sono dispositivi che permettono
59
Raz 2007, p. 295.
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all'agente di conformarsi ale ragioni che si applicano al caso, il loro scopo può essere ottenuto solo alla condizione che, in primo luogo, il loro contenuto, ovvero il comportamento che prescrivono, sia conoscibile e comprensibili (e quindi pubblicamente posto) e, in secondo luogo, che esse prescrivano non un metodo per decidere la soluzione corretta ma la soluzione stessa. Il caso della tassazione può essere nuovamente di aiuto per comprendere tali caratteristiche. La legge che istituisce l'obbligo di pagare le tasse si basa su ragioni che gli individui hanno indipendentemente dal darsi dell'autorità e prescrive loro un insieme di comportamenti, i quali sono individuabili senza doversi riferire alle ragioni. Essa infatti non fornisce agli individui il principio, che pure può avere guidato il ragionamento dell'autorità, secondo il quale è doveroso per ogni cittadino versare un contributo alla propria comunità pari a una percentuale del proprio guadagno abbastanza cospicua da permettere a tutti i suoi membri di usufruire (almeno) di un livello minimo di beni e servizi e, parimenti, non costituisca per lui un onere eccessivo. Una direttiva così formulata sarebbe praticamente inutile, in quanto richiederebbe nuovamente l'intervento di un'autorità che sia a conoscenza del conteso entro cui i termini del principio assumono il proprio significato e che garantisca un'efficace coordinazione (ovvero che faccia versare a parità di condizioni la medesima somma). Per questo motivo l'autorità pone, e non può fare altrimenti, norme pubbliche che forniscono le modalità precise attraverso cui tale obbligo va ottemperato.
III.2. Sapere e discrezionalità delle Corti
Gli elementi emersi in questo capitolo sembrano condurre a due tesi posizioni fortemente in contrasto tra loro. Da un lato si è mostrato come le norme siano, primariamente, strumenti che permettono di pianificare le proprie azioni e, dall'altro, che esse possono essere sempre autortitativamente modificate, annullate o reinterpretate. 36
Nel corso degli ultimi tre decenni Raz ha dato risposte diverse a questo problema che riveste un luogo centrale anche nel suo ultimo lavoro60, ma una loro completa analisi condurrebbe troppo lontano dallo scopo di questo lavoro. Mi limiterò pertanto a mostrare il loro maggiore punto di contatto.
La tensione non è causata dalla ricostruzione raziana ma dalla natura stessa del diritto: esso ha da regolare una realtà, quella sociale, che viene modificata, e alle volte stravolta, da mutamenti di carattere economico, culturale, politico, ambientale e tecnologico. Il diritto può svolgere la propria funzione di mediazione solo se è in grado, da una parte, di incanalare, almeno parzialmente, tali forze in prassi e pratiche condivise e, dall'altra parte, di mutare con la società, al fine di mantenere la propria funzione di guida, e non di intralcio, delle interazioni umane. Risulta allora essenziale la figura delle
Corti in quanto esse devono risolvere le controversie non regolate e, al contempo, stabilire quali leggi hanno da considerarsi invalide poiché non soddisfano (più) criteri di giustezza e razionalità, ossia devono decidere oltre e contro la legge 61 in conformità alle ragioni. Questo non deve far cadere nell'errore di credere che in questi casi le decisioni giuridiche vanno ad assimilarsi completamente con decisioni morali. Infatti «[f]rom the fact that the question “how, all things considered, should the courts decide the case?” is a moral question it does not follow that the question “how, according to the law, should cases be decided?” is a moral question»62.
In questo contesto il corpo dei giudici si configura come quell'insieme di persone specializzate che, da una parte, si trova in una posizione autoritativa, che viene mantenuta (dal singolo giudice) solo seguendo le leggi e, dall'altra parte, possiede un sapere tale che gli permette di applicare, modificare e abrogare con discrezionalità le leggi. La discrezionalità deriva la sua funzione e legittimazione proprio nell'opera di rinvenimento e esplicitazioni delle ragioni sottese a un caso, che viene assicurata dell'adozione del legal point of view, ovvero dalla conoscenza e attuazione di quell'insieme di procedure e modalità di inferenza propria dell'attività giurisdizionale.
60
Raz 2009.
O almeno contro la legge già stabilita: i sistemi giuridici moderni, infatti, permettono, quando non impongono che le norme ingiuste siano abrogate.
62
Raz 1994, p. 328.
61
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La risposta alla seconda domanda differisce dall'altra per il fatto che la decisione corretta dal punto di vista del sistema giuridico è quella che, pur riflettendo le ragioni del caso, prende in considerazione in modo sostanziale i rapporti della situazione da giudicare con la società, intesa come sistema di pratiche, regole, valori e norme, nel suo complesso. Questo fatto è assicurato solo, e nella misura in cui, coloro che sono chiamati a decidere sono portatori di un sapere tale che permette loro di comprendere e agire efficacemente sulla società stessa. Utilizzando un'espressione inelegante si può affermare che un'autorità, per svolgere il proprio ruolo, deve conoscere la società, gli individui che la compongono, le pratiche che contraddistinguono il loro agire e, infine, le norme che la governano.
Ciò che in ultima analisi ha permesso e permette al diritto di imporsi e mantenersi come autorità pratica principale ai nostri giorni è il fatto che è, pur con gradazioni differenti a seconda del momento e del luogo contingente, portatore di tale sapere. Esso infatti, come si è visto, istituisce alcuni organi, le Corti, che hanno l'obbligo di conoscere (il corsus honorum che deve intraprendere una persona per diventare giudice consiste nel processo di acquisizione di tale conoscenza) e utilizzare le norme per risolvere un caso. Tali norme, stando alle tesi della dipendenza e della prevenzione, non sono un insieme di ordini e minacce che si sovrappongono alle regole già presenti nella società ma, in buona parte, dispositivi che prendono il loro posto nei ragionamenti e nelle pratiche degli individui: la conoscenza di una norma, pertanto, equivale alla conoscenza della pratica che essa regola. Il processo di “sostituzione” a sua volta è possibile solo nella misura in cui i giudici, ricercando le ragioni sottese a un caso, tentano di comprendere le pratiche e le regole che modulano l'interazione nella società: ogni sentenza passata in giudicato si configura così (anche) come uno studio e una decisione informata e attenta sugli elementi fondamentali delle stesse. Conoscere il contenuto delle nome e delle sentenze, pertanto, equivale a conoscere l'intelaiatura di base della società, ossia le relazioni fondamentali attraverso cui agiamo e interagiamo.
Tale conoscenza è la pre-condizione ultima ultima che permette all'autorità di servire i propri sottoposti, ovvero di coordinare le loro azioni e di mediare con le ragioni.
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La legge è in grado di dar buona prova di sé poiché contiene meccanismi e procedure che impongono di utilizzare questo sapere: le corti non solo possono ma, se la normal justification thesis ha da essere soddisfatta, devono decidere i casi con discrezionalità.
III.3. Alcune considerazioni critiche
Lo scopo di questo capitolo, come ho specificato nel primo paragrafo, è di mostrare perché e in che misura il sistema giuridico è in grado di svolgere efficacemente la propria funzione di mediazioni tra le ragioni e gli individui. Nei precedenti paragrafi ho cercato di dare una risposta alle prima questione ma nulla è stato detto sulla seconda.
Raz vede nel diritto in quanto tale, soprattutto se basato sul common law, uno strumento efficace per soddisfare la normal justification thesis; tale concezione è a mio avviso solo parzialmente corretta: se infatti è certamente vero che esso ha il merito di consentire agli individui che sostengono concezioni morali del mondo differenti di vivere nella medesima società, permettendolo loro di svolgere e condividere le medesime attività, è altrettanto vero che un numero cospicuo di queste è determinato dalla propria origine, la quale è avvenuta in contesti di solo parziale, o comunque diverso, pluralismo. Quando, infatti, «[i]l giuridico gode di margini ampli di autonomia politica, tende a profilarsi come espressione diretta del sociale [e quindi della o delle concezioni del bene prevalenti nella società] e come custode privilegiato dei suoi modelli organizzativi»63. In altri termini in molti contesti le decisioni giurisdizionali saranno contro, e non rispecchiano, le ragioni e i valori della minoranza o le ragioni tout court64. Tale tendenza può essere contrastata solo con l'implementazione di norme legislative che «[c]onsente una revisione e un superamento delle regolarità delle relazioni sociali, nella misura in
63
Croce 2009, p. 270.
La progettualità del diritto è solo in minima parte una risposta a tale obiezioni in quanto non specifica le concrete modalità che permettono il graduale riconoscimento delle ragioni delle minoranze.
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cui le pratiche socialmente diffuse si dimostrano inefficaci, oppressive o incapaci di prendere misure rispetto ai vecchi e nuovi problemi»65. A sua volta questo processo non può prescindere, tra le altre cose, dalla concreta partecipazione dei gruppi minoritari alla prassi politica del paese sia attraverso la creazione di movimenti e associazioni che operino nella società civile sia concedendo loro alcuni spazi nelle sedi istituzionali preposte alla deliberazione: il progressivo riconoscimento dei diritti nei tribunali molto raramente è stato raggiunto senza tali spinte. Queste osservazioni non vogliono far intendere che non è mai possibile riconoscere le ragioni altrui o che solo chi appartiene a un determinato gruppo può comprendere e patrocinare i suoi valori. Il loro scopo è piuttosto quello di mostrare come la comprensione dei valori dell'altro passa sempre per un dialogo con l'altro e che un'autorità tradizionalmente consolidata non può essere giusta, al di là delle proprie intenzioni, se non sono presenti al suo interno istituzioni che permettano tale incontro.
Sono qui in gioco due fattori che non vanno confusi: l'uno è quello della modalità attraverso cui un individuo o un gruppo può avanzare le proprie pretese, che spesso non può non prescindere da un momento conflittuale con gli altri gruppi o anche con l'ordine vigente; l'altro è quello che concerne la possibilità, in linea di principio, della comprensione dei valori e delle ragioni altrui. Il primo non costituisce un problema che non possa essere corretto all'interno della teoria raziana (che al più può essere accusata di eccessivo ottimismo) mentre il secondo richiede, a mio avviso, che alcuni suoi elementi fondativi vadano rivisti o modificati in maniera sostanziale. Come ho tentato di mostrare nel paragrafo precedente, l'autorità può svolgere efficacemente il proprio ruolo conoscendo le pratiche, le regole e le norme di una società; non abbisogna pertanto di conoscere gli individui, che pure deve servire, in quanto tali. Questa asserzione poggia sull'assunto raziano, che condivido, secondo il quale le ragioni sono fatti: la valutazione di un comportamento altrui pertanto si basa su criteri pubblici (ovvero non privati) in quanto, da un lato, non volontaristicamente posti e, dall'altro, esternamente riconoscibili e autosussistenti. Servire gli individui, pertanto, non significa aumentare la probabilità
65
Ivi, p.173.
40
che essi soddisfino le proprie volizioni private ma fornire dispositivi che permettano loro di scegliere il proprio percorso di vita in conformità alle ragioni che considerano più importanti o apprezzabili. Ma la concezione raziana dell'autorità tralascia a mio avviso in maniera troppo significativa il problema della comprensione delle ragioni e dei valori delle persone provenienti da diverse culture: la loro intelligibilità è possibile solo riconnettendo il valore agli stili di vita e alle pratiche orinali ma questa operazione non viene (né potrebbe esserlo) svolta in nessuna aula di tribunale.
In parole più semplici non in tutti i casi è possibile presumere che ogni decisione che voglia soddisfare la normal justification thesis riesca nel suo scopo senza coinvolgere nel processo di creazione della norma i destinatari della stessa.
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