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Art. 41 Costituzione

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Submitted By lavilavi91
Words 7673
Pages 31
Università degli studi “Roma Tre”
Facolta di Economia “Federico Caffe”
Corso di Laurea in Economia e gestione delle imprese

Tesi di laurea “Articolo 41 della Costituzione: analisi e interpretazione”

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INDICE

Introduzione...................................................................................................................3

Origini............................................................................................................................5

Utilità sociale: nozione e limite.....................................................................................8

La tutela della concorrenza..........................................................................................14

L'art 41 e il quadro normativo comunitario.................................................................16

Programmi e controlli..................................................................................................19

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INTRODUZIONE
Art. 41 Cost.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

L'articolo 41 è stato a lungo al centro di dibattiti dottrinali. Questo infatti appare come la chiave di volta della “Costituzione economica”, cioè quella parte della Costituzione italiana che disciplina i rapporti economici, poiché pone un principio di bilanciamento tra iniziativa privata e interesse collettivo: l'iniziativa privata è libera nei limiti dell' utilità sociale e della sicurezza, libertà e dignità umana. Nell’interpretazione di questo articolo, un primo problema riguarda le attività tutelate dalla disposizione costituzionale: secondo un primo orientamento, la libertà di Iniziativa economia privata si riferirebbe soltanto all’esercizio di un’attività imprenditoriale, laddove, secondo un orientamento diverso, ripreso dalla giurisprudenza costituzionale, essa comprenderebbe anche altre attività economiche, tra cui la stessa autonomia contrattuale, con l’eccezione del lavoro (subordinato e/o autonomo), la cui tutela andrebbe cercata in altre disposizioni costituzionali (artt. 4 e 35 ss. Cost.). Un orientamento ulteriore, infine, basandosi su alcune sentenze della Corte costituzionale, estende questa libertà anche ad ogni attività da cui possa derivare un vantaggio economico per chi la svolge, ivi compreso il lavoro subordinato e/o l’esercizio di una professione.
Per quanto riguarda gli ulteriori profili di discussione, ci si è chiesti se l’iniziativa economia privata sia un diritto o, se, invece, in virtù dei penetranti limiti a cui è assoggettata dallo stesso art. 41, co. 2,

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Cost. (non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale né recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana; inoltre, la legge può determinare i programmi e i controlli per indirizzarla e coordinarla a fini sociali), degradi a mero interesse, ovvero addirittura ad una funzione, come, ad esempio, per C. Mortati (il quale parlava esplicitamente di funzionalizzazione dell’intera attività economica privata). Quest’ultima tesi, tuttavia, non è stata fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto finisce per affidare l’iniziativa economica dei privati alle scelte insindacabili del legislatore, laddove, invece, nessuno può essere costretto, fosse anche per legge, ad iniziare una qualche attività economica contro la sua volontà. La stessa Corte costituzionale ha infatti ammesso che i limiti all’iniziativa economica privata non possono essere «tali da renderne impossibile o estremamente difficile l’esercizio». È opinione comune che l’art. 41 Cost. configuri dunque un sistema di economia misto, cioè un sistema in cui convivono soggetti pubblici e soggetti privati, senza che si possano sopprimere integralmente gli uni o gli altri. In questo senso, vi è chi ha visto nelle limitazioni alle attività economiche la necessità di realizzare un’economia sociale di mercato, cioè di un mercato corretto e indirizzato a fini sociali, e chi, invece, un modello terzo, diverso da capitalismo e collettivismo. Il margine di azione del legislatore rimane comunque ampio, visto che l’art. 41 Cost. ha operato in contesti economici assai diversi – dall’accentuato interventismo economico degli anni sessanta e settanta del Novecento (ad esempio, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica operata nel 1962), alle privatizzazioni dell’ultimo decennio del XX secolo – senza che si sia mai effettivamente posto il problema di un eventuale contrasto della legislazione con tale disposizione costituzionale. Si discute, infine, se l’art. 41 Cost. ricomprenda o meno la tutela della libera concorrenza: secondo una prima tesi, il principio della libera concorrenza non troverebbe alcuna garanzia nell’art. 41 Cost., ma solo nei trattati istitutivi della Comunità europea, i quali verrebbero recepiti nell’ordinamento costituzionale attraverso gli artt. 11 e 117, co. 1, Cost.; secondo una diversa ricostruzione, la tutela della concorrenza non sarebbe un limite alla libertà di iniziativa economica privata, ma una garanzia della libertà medesima, poiché essa, quale diritto spettante a tutti i soggetti, non avrebbe senso in un

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mercato dominato da posizioni monopolistiche o oligopolistiche (così anche la l. n. 287/1990). La giurisprudenza costituzionale, da parte sua, è stata uniforme nel collegare la concorrenza con il limite dell’utilità sociale, limite che, peraltro, può portare a una limitazione della stessa concorrenza.

Origini
Tutte le indagini sulle «origini» della libertà di iniziativa economica assumono come atto di «nascita» di tale libertà quello del riconoscimento della stessa come diritto «autonomo» dal diritto di proprietà, di cui in precedenza si ritiene fosse quasi un «segmento interno», per giunta di scarso rilievo, avviluppata com'era nelle sue spire, nell'ambito di un sistema «dominicale» per eccellenza, contraddistinto, sul piano economico, dal modo di produzione agricolo ed artigianale, finalizzato all'autoconsumo, e sul piano politico dalla complessa architettura feudale. È così che l'«emersione storica di un autonomo concetto di attività economica» 1 si rinviene in coincidenza dello sviluppo dei traffici mercantili e dell'affermarsi dell'economia di scambio, la quale trova nelle strutture dell'età comunale (nelle c.d. «città libere»), che segnano la dissoluzione dell'ordinamento feudale, un assetto

anticipatore di quello dello Stato moderno. È in quest'ultimo, infatti, che la libertà economica conosce la sua piena consacrazione, come dimostrato dalla proclamazione, nella Francia rivoluzionaria, del principio della «libertà del commercio e dell'industria» (l2-17 marzo 1791) parallelo alla configurazione della proprietà quale «diritto sacro ed inviolabile» (art. 4 della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino) - principio simbolicamente rivelatore dell'abolizione del precedente sistema politico-economico nel quale il commercio e l'industria non costituivano esercizio di libertà, ma attività il cui svolgimento era possibile solo con il consenso del sovrano, mediante «privilegi» concessi singolarmente. Una forma di riconoscimento di siffatto principio, sia pure implicito, si era, d'altro canto, già avuta in Inghilterra, in corrispondenza dell'elaborazione della teoria dei «diritti naturali» (e dell'importante contributo ad essa dato da
Locke) e dell' identificazione, fra di essi, in particolare della «libertà personale» e della «proprietà
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In questo senso vedi BALDASSARRE 1971, 584

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privata» dalla cui combinazione si desumeva il riconoscimento della predetta libertà di industria e di commercio. L'elevata problematicità della interpretazione della disposizione in commento è subito dimostrata da quello che è stato, per molto tempo, un primo, centrale snodo interpretativo: quello della identificazione dell'oggetto tutelato dalla norma. Si sono, infatti, contrapposte, in dottrina, ipotesi molto diverse, con conseguenze ricostruttive talora inconciliabili. In primo luogo, si è ritenuto di distinguere l'«iniziativa economica» dal suo «svolgimento», ravvisando la prima nel solo atto propulsivo dell'attività (corrispondente alla decisione se intraprendere o meno un'attività economica e comprensivo della eventuale destinazione dei capitali al processo produttivo2) di cui si è postulata l'assoluta libertà, il secondo, viceversa nella disciplina dello svolgimento della medesima attività ed in particolare nella disciplina dell'impresa, ritenuta al contrario assoggettata ai penetranti limiti di cui al 2° (ed al 3°) co. della medesima norma3 e, per certi versi, del tutto estranea al medesimo raggio d'azione della libertà. Di tale ipotesi, che delineava una «frattura» interna della norma identificando, quindi, due distinti oggetti della stessa, è stata - fin da epoca risalente - esclusa la fondatezza, in particolare dalla giurisprudenza costituzionale che ha, in ripetute occasioni, affermato che la «garanzia posta nel 1° co. di quest'articolo riguarda non soltanto la fase iniziale di scelta dell'attività, ma anche i successivi momenti del suo svolgimento», riconoscendo così l'unitarietà dell'oggetto tutelato dalla norma e la conseguente necessaria applicazione anche all'atto di iniziativa dei limiti posti dal 2° (e dal 3°) co. della stessa. Tale soluzione non ha tuttavia sciolto definitivamente il nodo dell'oggetto tutelato dalla norma in esame. Altre ipotesi ricostruttive sono state, infatti, elaborate sul punto ed hanno portato alla prefigurazione di ulteriori scenari in conflitto. Da un lato, vi è chi ha ritenuto di dover ricondurre all'art. in esame la sola attività di impresa, in ragione della parentela lessicale tra le parole «iniziativa» ed «intrapresa» economica connesse all'aggettivazione «economica» nonché alla definizione di imprenditore di cui al c.c. come colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi (art. 2082 c.c.),
2 Sul punto vedi COCOZZA 2001, 12 e ss.
3 Sul punto vedi GALGANO 1982, 8

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facendo leva anche sull'idea che solo l'esercizio di una simile attività (corrispondente all'esercizio di un «fascio di libertà» fra cui la libertà di disporre dei beni, la libertà di investire i capitali, la libertà di destinarli alla produzione o allo scambio di beni o servizi o all'acquisizione di ricchezza, la libertà contrattuale, il potere di organizzare il processo produttivo) potesse giustificare l'eventualità, contemplata dal 2° co. della disposizione in esame, di uno svolgimento contrastante, in particolare, con la «dignità umana» e quindi la necessaria apposizione di limiti (con conseguente giustificazione della esclusione della configurazione della libertà economica come diritto della persona ed affievolimento della stessa)4. Dall'altro, si è delineata la tesi di chi viceversa ha rintracciato nell'art. 41 la copertura costituzionale di ogni atto con cui il soggetto sceglie il fine economico che intende perseguire e, in via immediata, l'attività con cui organizza i mezzi per raggiungerlo, in linea con l'idea della configurazione della libertà economica come di un diritto di libertà propria della persona, giungendo a comprendervi non solo l'esercizio di una libera professione, ma anche la prestazione di lavoro subordinato o addirittura la scelta di formare organizzazioni sindacali di categoria o di aderire ad organizzazioni sindacali già esistenti5. Ora, al di là della complessità logica di una riconduzione di attività quali l'adesione o anche la formazione di organizzazioni sindacali di categoria o anche dello stesso lavoro subordinato al concetto di
«iniziativa economica» occorre ricordare che tale tesi è stata, nei suoi estremi sviluppi, disattesa dalla prevalente dottrina e dalla stessa giurisprudenza costituzionale, la quale, tuttavia, sulla scia delle indicazioni dei lavori preparatori della Costituzione, ha egualmente escluso la riconducibilità alla sola attività di impresa dell'«iniziativa economica privata», essendo l'impresa soltanto una delle forme di esercizio dell'attività economica6, rintracciando nella disposizione in commento il fondamento costituzionale (e la disciplina) anche di altre attività economiche sebbene non
4 Sul punto si sofferma BALDASSARRE, 1971, 599, il quale muove dall'assunto secondo il quale i diritti della persona sono «espressione vivente della stessa dignità umana».
5 In questo senso v. MAZZIOTTI, 1956, 151; ESPOSITO, La Costituzione, cit., 172.
6 Così dagli atti della discussione generale in III Sottocommissione dell'Assemblea Costituente, seduta del 3 ottobre
1946, in A.C., Discussioni, III Sottocommissione, 181-182. Sul punto v. diffusamente PACE, 1992, 465.

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organizzate ad impresa, quali quelle occasionali o anche il lavoro autonomo, fino in alcuni casi a comprendervi (non senza vivaci critiche) l'esercizio di attività economiche consistenti nelle professioni intellettuali7. Quanto, infine, alla possibilità di rintracciare nella disposizione in commento un autonomo fondamento della libertà contrattuale, essa si è ritenuto potesse ravvisarsi solo ove fosse stata accolta la nozione ampia di iniziativa economica privata di cui si è detto sopra, corrispondente ad ogni attività da cui possa derivare un vantaggio economico a chi la svolge: una volta accantonata, come si è visto, tale ipotesi, la libertà contrattuale finisce con il risultare costituzionalmente fondata solo in quanto si riveli strumentale alla realizzazione di una situazione soggettiva espressamente protetta dalla Costituzione e corrispondente, ad esempio, alla libertà di iniziativa economica o al diritto di proprietà, cosicché ogni limite posto alla libertà contrattuale si rivela legittimo - come affermato dalla Corte costituzionale - solo in quanto
«preordinato al raggiungimento degli scopi previsti e consentiti dalla Costituzione» in relazione alla situazione sostanziale8 e quindi anche in relazione all'iniziativa economica.

Utilità sociale: nozione e limite
Quanto a quest'ultimo limite, è noto che fu oggetto del più acceso e contrastato dibattito, sin dal suo primo appalesarsi, in ragione della ritenuta difficile qualificazione della formula impiegata, tanto ampia (e generica) da essere considerata, in sede di Assemblea Costituente, da Einaudi, addirittura inconoscibile, in quanto espressiva di una norma indeterminata ed indeterminabile 9. Di una simile formula - che ha inciso ed incide non poco sulla stessa qualificazione della natura dell'iniziativa economica privata (diritto di libertà non fondamentale, situazione soggettiva funzionalizzabile) - sono
7 In questo senso cfr. C. cost. 13/1961, 17/1976, 59/1976; problematicamente v. C. cost. 89/1984.
8 In questo senso cfr. C. cost. 30/1965, 241/1990.
9 In tal senso si espresse Einaudi in Assemblea Costituente, arrivando alla conclusione che «una norma la quale non ha significato è una norma per definizione anticostituzionale ed arbitraria. Qualunque interpretazione darà il legislatore futuro alla norma, essa sarà valida. 8

state proposte le più varie interpretazioni, e si sono delineati i più diversi contenuti, ravvisandosi in essa ora l'esigenza di raggiungere i massimi livelli di occupazione, attraverso una lettura proposta da
Mortati che congiungeva in maniera sistematica l'art. 41 all'art. 4 Cost. 10, ora il «recupero» della nozione utilitaristica di Bentham secondo cui essa corrisponderebbe alla «maggior quantità di benessere per il maggior numero possibile di uomini»11, ora ancora il «benessere economico collettivo» inteso quale «progresso materiale di tutti in condizioni di eguaglianza» 12. In considerazione della oggettiva difficoltà di identificare una precisa definizione di «utilità sociale» e della «irriducibile poliedricità» della medesima, riferibile a due distinti campi applicativi costituiti ora dai rapporti interni dell'unità produttiva, ora dalla sua attività rivolta all'esterno, e quindi riferibile ora ai bisogni dei lavoratori dipendenti, ora a quelli dell'intera società ovvero di quei soggetti che nella singola fattispecie si presentino investiti dell'interesse sociale, si è proposta la qualificazione dell'utilità sociale quale «principio-valvola» che consente «l'adattamento dell'ordinamento al mutare dei fatti sociali», ma anche quale «concetto di valore» intriso di «giustizia sociale», che partecipa dei caratteri dei valori costituzionali che connotano l'ordinamento, e che quindi è teso alla realizzazione di quel progetto di trasformazione della società italiana voluto dal 2° co. dell'art. 3 Cost.. In tal modo, se da un lato si è esclusa ogni forma di «pietrificazione» della nozione di utilità sociale attraverso un unico intervento del legislatore, dall'altro si è riconosciuto il rilevante ruolo dello stesso nella individuazione delle singole (e svariate) fattispecie normative nelle quali si rintracci l'utilità sociale, ma soprattutto si è evidenziato il fondamentale compito dell'organo di giustizia costituzionale, chiamato a verificare, in virtù della propria posizione istituzionale di garante della Costituzione, in primo luogo i fini effettivamente perseguiti dalla legge (nel nome della necessità di evitare il contrasto con l'utilità sociale) e l'idoneità dei mezzi predisposti a perseguirli. Detto controllo (di cui si è sottolineata la estrema delicatezza in ragione del carattere complesso del parametro sia in relazione alla sua
10 Nessuna Corte giudiziaria potrà negarle validità, perché tutte le leggi di interpretazione saranno conformi a ciò che non esiste».
Così appunto MORTATI, Il diritto al lavoro secondo la Costituzione della Repubblica, in Problemi di diritto pubblico nell'attuale esperienza costituzionale repubblicana. Raccolta di scritti, III, Milano, 1972, 141 ss.
11 In tal senso v. COLI, Proprietà ed iniziativa privata, in Comm. Calamandrei-Levi, Firenze, 1950, I, 363.
12 Così SPAGNUOLO VIGORITA, 1959, 243.

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formazione, vale a dire al «ricorso a criteri non espressamente codificati o, come pure si dice impropriamente, extragiuridici», sia in relazione alla sua struttura, vale a dire alla «mutabilità e mobilità degli specifici valori che vi si incarnano 13), è stato, sin da tempi assai risalenti, svolto dalla
Corte costituzionale, la quale, a partire dalla sentenza14/1964, ha provveduto a delineare i confini del proprio intervento, riconoscendosi competente a sindacare la palese contraddizione dei fini di utilità sociale perseguiti dal legislatore con i presupposti di fatto accertabili, la non assoluta inidoneità dei mezzi predisposti dal legislatore rispetto allo scopo ed infine il perseguimento di finalità palesemente diversa da quella di utilità sociale formalmente indicata. Le caratteristiche di un simile sindacato sebbene non sempre identicamente svolto, ma talora connotato in termini più «formali» in quanto volto a verificare solo la riconducibilità dei fini perseguiti dalla legge allo spettro delle possibilità consentite dalle clausole costituzionali, altre volte invece più penetrante ed incisivo sulle scelte operate dal legislatore - rendono arduo desumere dalle pronunce della Corte una nozione di «utilità sociale» puntualmente definita, non solo in ragione del risvolto «negativo» del controllo (sono censurate le scelte del legislatore che non corrispondono ad una «utilità sociale»), ma anche per la varietà dei fini di volta in volta ritenuti idonei a configurare la predetta utilità sociale. E tuttavia, se una precisa definizione di utilità sociale si rivela inaccessibile, è comunque possibile rintracciare, al fondo delle decisioni in tema una «logica comune» corrispondente al principio «secondo cui sono di utilità sociale quei beni che non solo sono ritenuti tali dal legislatore ma che godono anche e soprattutto di diretta protezione e garanzia in Costituzione» 14, che coincidano cioè con altri interessi o diritti costituzionalmente tutelati, quali, ad esempio, la salute, l'ambiente, il diritto al lavoro, ecc., interessi e diritti la cui tutela imponga, nel bilanciamento con l'iniziativa economica privata, una limitazione di quest'ultima, proprio alla stregua del 2° co. dell'art. 41 in commento. A tal proposito si è osservato che esisterebbe una sorta di «nucleo minimo» del concetto di utilità sociale corrispondente al complesso di «valori che la Costituzione protegge con norme specifiche in materia di libertà personale, sindacale, di espressione e di informazione, di insegnamento; di diritto alla salute, al salario
13 Così BALDASSARRE, 1971, 605.
14 Così LUCIANI, 1983, 138

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«sufficiente», all'assistenza e previdenza; di tutela del paesaggio» 15, non tutti riconducibili ai limiti di cui alla seconda parte del 2° co. dell'art. 41 e cioè ai limiti della libertà, sicurezza e dignità, ma riferibili anche ad altre situazioni soggettive espressamente protette dalla Carta costituzionale, come ad esempio quelle relative ai diritti sociali, in particolare ove considerati in relazione ai loro presupposti storici di strumenti di attuazione della libertà eguale. In questa direzione vanno quelle decisioni nelle quali la Corte ha riconosciuto il fondamento costituzionale di utilità sociale di quelle limitazioni poste dal legislatore all'attività imprenditoriale nel nome della tutela del diritto dei lavoratori al riposo settimanale o del diritto al mantenimento e all'assistenza sociale o della tutela della donna lavoratrice. Non contraddicono quanto sopra evidenziato, anzi sembrano confermare la tesi della esistenza di un «nucleo minimo» della nozione di utilità sociale in parte coincidente con i limiti di cui alla seconda parte del 2° co. della norma in commento, quelle decisioni della Corte nelle quali si sono individuati, contestualmente, come fondamenti costituzionali delle limitazioni poste all'iniziativa economica privata dal legislatore, sia i limiti di cui alla seconda parte del 2° co. dell'art. in commento, sia il limite dell'utilità sociale, quasi a «rafforzare» la scelta operata dal legislatore e a suggerire una sostanziale contiguità fra gli indicati limiti nel nome della tutela dei diritti e degli interessi costituzionalmente tutelati e quindi della necessità di un contemperamento degli stessi con la libertà di iniziativa economica. È così che la Corte ha rintracciato il fondamento del limite posto all'iniziativa economica avente ad oggetto il gioco d'azzardo nel contrasto con l'utilità sociale oltre che nel danno a libertà, sicurezza e dignità umana arrecato dal gioco d'azzardo; così pure ha ritenuto di ravvisare una ragione di utilità sociale nell'abolizione del lavoro notturno dei fornai necessario a garantire la salute e quindi anche la sicurezza - dei fornai. Il riferimento al limite dell'utilità sociale, congiuntamente ai limiti della libertà, sicurezza e dignità, ha, d'altra parte, caratterizzato la giurisprudenza costituzionale degli anni novanta, con particolare riferimento alla tutela del diritto dell'individuo a vivere in un ambiente non degradato: se, infatti, nella sentenza 427/1995, la Corte, chiamata a pronunciarsi sul condono edilizio, ha rigettato le censure prospettate in relazione alla presunta lesione di interessi
15 In questi termini CAVALERI, 1978, 37.

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costituzionalmente protetti quali la dignità umana, minacciata dall'abusivismo edilizio, ritenendo detti interessi, corrispondenti all'utilità sociale, adeguatamente tutelati dai rilevanti limiti posti al condono
(sul tema è «tornata» nella recente sentenza 196/2004, nella quale ha sottolineato il necessario contemperamento fra gli interessi coinvolti, realizzato nel nome dell'utilità sociale, dalla disciplina sul condono quali la tutela del paesaggio, della cultura, della salute, oltre che di quegli altri interessi, pure di fondamentale rilevanza sul piano della dignità umana, dell'abitazione e del lavoro), nella ord.
186/1996, in tema di rifiuti speciali di origine industriale, assimilabili agli scarichi tossici e nocivi, ha rintracciato il fondamento giustificativo degli obblighi di comunicazione inerenti alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti non tanto e non solo nel limite dell'utilità sociale (più volte successivamente connesso alla tutela dell'ambiente), quanto esplicitamente nel limite della sicurezza, libertà e dignità umana «da ricollegarsi anche alla tutela dell'ambiente» in cui l'individuo vive. In alcuni casi, tuttavia, è più arduo rinvenire le tracce di quella «logica comune» alla maggior parte delle pronunce della
Corte sul tema di cui si è detto prima: è accaduto, infatti, in alcune occasioni, che siano stati ritenuti di
«utilità sociale» interessi attinenti alla sfera squisitamente economica, più difficilmente riconducibili alle previsioni espresse di cui alla carta costituzionale e corrispondenti a valori economici generali quali l'incremento della produzione , «l'equilibrio locale di mercato tra domanda e offerta» 16, i «valori aziendali» della concorrenzialità e competitività delle imprese nonché il «sistema economico produttivo vigente»17, tutti valori il cui fondamento è rintracciato nella stessa proclamazione costituzionale della libertà di iniziativa economica anche se sganciati dalla sfera della libertà di iniziativa ed ancorati piuttosto al mercato inteso quale struttura oggettiva. Di quest'ultimo - del cui implicito (e consapevole) riconoscimento nelle maglie del medesimo art. 41, in sede di Assemblea
Costituente, si è, in dottrina, dubitato, rintracciandosi la «scoperta» del medesimo solo sulla scia dell'integrazione comunitaria - si sono rinvenuti i caratteri di quei fini di utilità sociale «ai quali deve essere finalizzata l'attività imprenditoriale», nonostante essi si siano risolti in una compressione ad un
16 Cfr. C. cost. 63/1991
17 Cfr. C. cost. 439/1991

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tempo di diritti ed interessi «altri», quali ad es. i diritti dei lavoratori subordinati dell'impresa, ed anche degli stessi diritti di iniziativa economica degli altri operatori, in una prospettiva di prevalenza della protezione del «sistema economico vigente» 18. Si è, in altri termini, finito con l'intendere l'utilità sociale come una sorta di «ordine pubblico economico», ma in un senso che sembrerebbe piuttosto distante da quello fatto proprio dalla dottrina francese ed accolto, sulla suggestione di quest'ultima, anche in Italia, già sul finire degli anni sessanta 19: non già, infatti, come la risultante della
«combinazione» del principio di libertà (di iniziativa economica privata) con il principio di giustizia, rispetto al cui soddisfacimento il miglioramento delle condizioni economiche complessive o l'efficienza del sistema economico possano rivelarsi strumentali, ma piuttosto come l'insieme delle ragioni della produttività e dell'efficienza del sistema economico nazionale (le ragioni del «mercato»), elevate a ragioni giustificatrici del sacrificio delle sfere di libertà del soggetto, ivi compresa la libertà economica costituzionalmente consacrata. Tale «eterogenesi» dei fini di utilità sociale - contraddetta in altre decisioni della Corte, nelle quali si è viceversa sottolineato il carattere meramente strumentale dell'efficienza del sistema economico complessivo rispetto ai principi di libertà ed eguaglianza 20 - si sarebbe determinata in corrispondenza della affermazione comunitaria, enfatizzata dalla accelerazione del processo di integrazione, del mercato concorrenziale e della conseguente necessità di leggere le disposizioni del dettato costituzionale in materia economica in maniera conforme rispetto alle indicazioni comunitarie. Si accendeva così il dibattito attorno alla possibilità di rintracciare nelle maglie della disposizione in commento il riconoscimento costituzionale della libertà di concorrenza o
18 Così ancora C. cost. 439/1991.
19 Si fa riferimento alla tesi di FARJAT, L'ordre public économique, Paris, 1963, su cui si è soffermato FERRI, L'ordine pubblico, in
Riv. dir. comm., 1963, 464 ss. L'Autore ha sottolineato come tale nozione fosse stata elaborata dalla dottrina francese in riferimento all'esperienza di «cauto intervento dello Stato [...] nell'attività economica diretta ad arginare l'espandersi del dirigismo privato e, in un certo senso, ad assicurare l'effettivo funzionamento degli stessi principi liberali della libertà di concorrenza e della libertà contrattuale, attraverso la eliminazione delle posizioni di monopolio e del conseguente squilibrio nelle posizioni dei contraenti, specie in materia di lavoro».
20 In questo senso va C. cost. 97/1969 nella quale l'esigenza «di un ordinato sviluppo del mercato», realizzato attraverso l'attribuzione al prefetto del potere di concedere la licenza per l'apertura di magazzini a prezzo unico, è giustificata in funzione dell'interesse della società ravvisato nella condizione che sia evitato il «rischio che una totale liberalizzazione [...] possa tradursi nella creazione di monopoli non corrispondenti all'interesse dei consumatori e quindi della collettività»; cfr. anche C. cost. 223/1982 e
548/1990; in C. cost. 27/2003 l'efficienza del servizio pubblico farmaceutico viene ritenuta strumentale alla realizzazione del diritto alla salute oltre che del diritto di iniziativa economica degli altri esercenti le farmacie.

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ancora del mercato (concorrenziale) e non solo con riferimento alla clausola dell'utilità sociale , come dimostrato dalla stessa l. 287/1990, la quale reca «norme per la tutela della concorrenza e del mercato» «in attuazione dell'art. 41 Cost. a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica».

La tutela della concorrenza
Il fondamento costituzionale della libertà di concorrenza si rinviene, pur sempre, nell’art. 41 Cost. 21, che riconosce, quale sinonimo della libertà di iniziativa economica, il diritto di agire sul mercato e intraprendere qualsiasi attività economica 22; anche se la disposizione costituzionale non fa cenno alla libertà di concorrenza, intesa quale situazione di mercato e principio regolatore del sistema economico. A tal proposito, giova ricordare un indirizzo giurisprudenziale che in qualche modo sembrava anticipare le logiche del diritto antitrust. Infatti, diverse massime proclamavano l’illiceità di coalizioni tese a costruire un vero e proprio monopolio a danno del pubblico, dichiarando radicalmente nulle le convenzioni tese ad eliminare la concorrenza nei settori di pubblica utilità 23. La dottrina, per altro, da tempo avvertiva come l’art. 41 Cost. muovesse “dalla premessa di finalità sociali del sistema economico e dalla negazione che queste finalità possano essere automaticamente raggiunte col solo gioco della concorrenza”; e sottolineava come gli accordi limitativi della concorrenza finissero col risolversi in un “grave e fondamentale problema del progresso tecnico e dell’abbassamento dei costi”24 e con il confliggere con l’interesse dei consumatori e degli utenti 25.
Viene così approvata la legge a tutela della concorrenza del 10 ottobre del 1990, n. 287 a seguito di un travagliato inter parlamentare26. Sul piano sistematico, di particolare rilievo è l’espresso richiamo operato dall’art. 1, comma 1, della nostra legge recante norme a tutela della Concorrenza e del
21 Espressamente richiamato dal primo articolo della Legge del 10 ottobre 1990, n. 287.
22 È noto che il primo comma dell’art. 41 Cost. risente della cosiddetta impostazione post-liberale. La cultura degli anni ’40 aveva compreso come l’aggressione ai diritti di libertà dell’individuo potesse avvenire ad opera di qualunque entità reale o aggregazione, benché privata, in grado di esercitare un potere: non solo lo Stato, ma anche un cittadino, così come un’aggregazione di cittadini, possono dar luogo a sistemi di potere in grado di limitare o diminuire la libertà. Da tali considerazioni deriva l’inciso di cui al terzo comma dello stesso articolo, che impegna la nostra repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale.
23 G. GHIDINI, I limiti negoziali alla concorrenza, in Trattato di diritto commerciale, diretto da F. GALGANO, Padova, vol. IV,
1981, p. 31.
24 T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, p. 32 e ss.; in termini analoghi, G. GHIDINI, I limiti negoziali alla concorrenza, cit.
25 F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1954, vol. III, p. 14 e ss.
26 V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano, Milano, 1990.

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Mercato, al principio della libertà di iniziativa economica di cui al citato art. 41 della Costituzione, che la stessa si propone di attuare. In particolare, la disciplina di cui alla L. 287/90 sembra precisare il contenuto del principio costituzionale, se non addirittura reinterpretarlo, conferendo allo stesso un significato innovativo: se, infatti, la norma costituzionale si erge a tutela della libertà di iniziativa economica del singolo, la legge antitrust pone come oggetto di tutela il processo concorrenziale in sé considerato27. Ecco allora che la concorrenza si propone come un aspetto fondamentale del diritto di iniziativa privata, il cui contenuto deve essere determinato alla luce dell’art. 41 della Costituzione e dei principi del diritto comunitario. Il legislatore italiano rende espliciti i principi comunitari in materia di concorrenza, istituendo a difesa delle regole nazionali e comunitarie l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, un’autorità amministrativa indipendente preposta all’applicazione delle regole della concorrenza: ad essa viene affidato il compito di intervenire, inibire e sanzionare le intese restrittive della concorrenza, gli abusi di posizione dominante poste in essere dalle imprese sul mercato e di esercitare un controllo preventivo sulle operazioni di concentrazione. Con l’introduzione della disciplina antitrust mutano anche i rapporti tra mercato, concorrenza e autonomia privata, atteso che gli accordi restrittivi della concorrenza vengono colpiti con la sanzione civile della nullità.

L'art. 41 e il quadro normativo comunitario
Si è osservato in dottrina che una «progressiva restituzione alle libertà economiche private del ruolo che ad esse deve competere nelle economie di mercato» 28 - oscurato ove non obliterato in ordinamenti come quello italiano nei quali si sono delineati per molto tempo, nel settore economico, indirizzi di stampo prevalentemente «dirigistico» - si è avuta parallelamente alla progressiva affermazione dei principi posti alla base dell'integrazione europea . Si è anche segnalato, tuttavia, che detti principi, pur fornendo nuova linfa alle libertà economiche, rivelano un approccio profondamente diverso alla
«questione economica», dimostrato dalla scelta in favore del «principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza» (art. 4 Trattato di Roma) quale principio ispiratore della politica
27 V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano, Milano, 1990.

28Così NANIA, 2001, 78.
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economica della Comunità e degli Stati membri (costretti al vincolo di «conformità») nonché degli obiettivi comuni da essi perseguiti, principio da cui sembra scaturire - come del resto confermato in seguito dalla stessa giurisprudenza comunitaria - non solo e non tanto il riconoscimento, in ambito europeo appunto, delle libertà economiche, ma soprattutto la «attestazione della loro idoneità a dar vita ad un sistema oggettivo (il "mercato", appunto) capace di esprimere, in virtù dei suoi meccanismi interni di autoregolazione, il massimo realizzabile di efficienza economica e di crescita del tenore di vita complessivo»29. E infatti se già nel testo originario del Trattato di Roma si identificavano, come obiettivi, quello di «promuovere mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni tra gli Stati che ad essa partecipano» (art. 2), in seguito, dapprima con l'Atto Unico europeo, poi con ilTrattato di Maastricht, detti obiettivi venivano
«rafforzati» ed identificati, fra l'altro, nella «crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l'ambiente», nell'«elevato grado di convergenza dei risultati economici» (così l'art. 2 modificativo del
Trattato istitutivo), da realizzarsi peraltro in conformità ai seguenti principi direttivi: «prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile» (art. 3A).
L'ispirazione che sottintendeva le previsioni comunitarie, in altri termini, si mostrava di segno
«funzionalista» anche con riguardo alle stesse libertà economiche, la cui piena esplicazione veniva comunque condizionata e subordinata alla realizzazione degli «interessi generali» della Comunità (poi dell'Unione), tendenti a confondersi appunto con quelle esigenze di crescita economica e di stabilità, di realizzazione del mercato unico, identificate fra gli scopi essenziali dell'azione della medesima
Comunità (ed Unione). Di tale approccio «funzionalista» è, d'altro canto, possibile desumere tracce anche nelle norme solitamente richiamate a sostegno del riconoscimento e dell'affermazione comunitaria delle libertà economiche, e cioè dalle norme antitrust, da quelle previsioni volte a favorire la realizzazione della libera concorrenza mediante il controllo ed il divieto di pratiche (gli accordi fra imprese e tutte le pratiche concordate che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o

29Così ancora NANIA, 2001, 78-79.
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falsare il gioco della concorrenza, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese in posizione dominante sul mercato) ritenute lesive delle potenzialità del mercato concorrenziale. Tali pratiche sono, infatti, sanzionate sempre che non «contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico» (art. 85, n. 3): il che configura la stessa tutela della libertà di concorrenza, contemplata nei trattati, nei termini di tutela del sistema di mercato nelle sue oggettive strutture piuttosto che come tutela delle sfere di libertà individuale
(funzionalmente condizionate al primo). L'impianto «funzionalista» espresso dalle norme dei Trattati è stato, d'altro canto, confermato dalla giurisprudenza comunitaria, fin dai suoi primi interventi sul tema, com'è dimostrato da alcune decisioni ormai risalenti divenute famose: in questa direzione va, infatti, ad esempio, la c.d. sentenza Nold adottata dalla Corte di Giustizia nel 1974, nella quale quest'ultima ha espressamente affermato che diritti come quello al libero esercizio delle attività economiche «lungi dal costituire prerogative assolute, vanno considerati alla luce della funzione sociale dei beni e delle attività oggetto di tutela», cosicché la loro garanzia «fa generalmente salve le limitazioni poste in vista dell'interesse pubblico», rintracciato quest'ultimo, nella specie, nel miglioramento della distribuzione dei prodotti e ritenuto tale da giustificare la compressione della libertà economica di una pluralità di soggetti autonomi; e, nello stesso senso, sembrano andare tutte le indicazioni della giurisprudenza comunitaria in tema di tutela dei diritti di libertà (ivi comprese le libertà economiche), ancorate o, meglio, desunte dalle «tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri» - intese però quali mere «fonti di cognizione» 30 - ed alla Convenzione di salvaguardia delle libertà fondamentali, ma immerse in un orizzonte di riferimento assai distante da quello degli ordinamenti costituzionali degli Stati, proprio perché comunque condizionato e conformato al perseguimento dei predetti obiettivi di interesse generale connessi alla «congiuntura economica della
Comunità»31. Da più parti si è rilevato che le successive modifiche apportate ai trattati istitutivi, in particolare con ilTrattato di Amsterdam del 1997prima e, soprattutto, con il Trattato di Nizza del 2001,
30 Sul punto v. COZZOLINO, Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, in La Corte costituzionale e le Corti d'Europa, a cura di Falzea, Spadaro, Ventura, Torino, 2003, 35-36.
31 In questo senso v. CGCE, C-44/79, Hauer, in tema di limiti all'esercizio dell'attività di viticultore, e CGCE, C-240/83, A.D.B.H.U.

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poi, avrebbero fortemente «temperato» il suddetto approccio funzionalista in tema di tutela dei diritti, in corrispondenza dell'affermazione di altri obiettivi rispetto a quelli della efficienza e della stabilità economica, quali quelli inerenti alla politica sociale ed all'occupazione, alla sicurezza e difesa comune, e soprattutto alla tutela ed al rafforzamento della «cittadinanza europea», prefigurando scenari assai più omogenei rispetto a quelli di «partenza» degli ordinamenti costituzionali degli Stati, ivi compreso l'ordinamento costituzionale italiano, scenari che dovrebbero essere confermati dall'ormai avvenuta approvazione (il 29.10.2004) del Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa. Quest'ultimo, infatti, da un lato facendo propria la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
(nella Parte II), dall'altro, soprattutto, individuando prioritariamente i valori fondanti dell'UE (art. I-2), rintracciati, fra l'altro, proprio nella dignità umana, nella libertà e nell'eguaglianza, rispetto agli obiettivi della medesima Unione (art. I-3), identificati, almeno in parte, sulla falsariga dei tradizionali obiettivi originariamente perseguiti dalla Comunità, quali ad es. la crescita economica equilibrata e la stabilità dei prezzi (ma in un'ottica, almeno dichiarata, di realizzazione della piena occupazione e del progresso sociale, oltre che di elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente), avrebbe segnato la fine del «dinamismo funzionalista»32. Una simile prospettazione, che potrebbe trovare qualche, pur ancora isolata ed anticipata, conferma in qualche più recente pronuncia della
Corte di Giustizia, più attenta al profilo della tutela dei diritti (ivi compresi i diritti economici), come ad es. nel caso della sentenza resa lo scorso 9.9.2004, in cui la libertà di iniziativa privata (che «si confonde con il libero esercizio di un'attività lavorativa») è stata bilanciata non già con esigenze di efficienza del sistema economico complessivo, ma con le ben diverse esigenze di tutela della sicurezza pubblica (nella specie della sicurezza stradale) intesa quale tutela dell'incolumità dei singoli, non ha mancato e non manca tuttavia di sollevare critiche e perplessità. E infatti non solo si segnala la estrema genericità della formula dell'art. II-16 che colloca la libertà di impresa fra le altre libertà limitandosi a riconoscerla in conformità con «il diritto dell'Unione» e con le «legislazioni e prassi nazionali», rivelando così una complessiva arretratezza della Carta rispetto ai principi comuni alle
32 In tal senso PINELLI, Il preambolo, i valori, gli obiettivi, in Una Costituzione per l'Europa. Dalla Convenzione europea alla
Conferenza intergovernativa, Bologna, 2003, 33-34.

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Costituzioni nazionali, ma si sottolinea anche come, nella medesima Carta si presupponga il vigore di quei valori e di quei principi-chiave della costituzione economica europea (mercato, concorrenza, ecc.) già da lungo tempo operanti (ed ora in svariati punti esplicitamente richiamati: cfr. artt. III-14 ss., in tema di mercato interno, artt. III-69 ss., in tema di politica economica e monetaria, ecc.), i quali peraltro resterebbero comunque affidati alle cure della Corte di giustizia, «che è stata il motore della difesa e dello sviluppo della missione funzionalista dell'Unione» 33. Al di là delle formule testuali impiegate, la futura configurazione della libertà economica europea (e dei suoi limiti) costituisce dunque una questione largamente dipendente dalla interpretazione che della nuova Costituzione europea sarà data soprattutto dagli organi giurisdizionali competenti: una pagina dunque ancora tutta da scrivere.

Programmi e controlli
Nell'orizzonte dell'art. in esame in precedenza delineato, il riconoscimento della iniziativa economica privata di cui al 1° co. come libertà consente di leggere i limiti ad essa apposti dal 2° co. come limiti
«esterni» all'attività economica privata: il che vuol dire che l'attività economica è garantita anche ove non persegua fini di utilità sociale o non miri allo sviluppo della libertà, della sicurezza e della dignità umana, essendo sufficiente - per soddisfare il precetto costituzionale - che essa non sia svolta in contrasto con tali valori. Nella medesima prospettiva di riconoscimento e tutela della «libertà economica» si svela - di contro a letture «funzionaliste» che non poca fortuna hanno avuto in particolare negli anni sessanta e settanta, sulla base di una fraintesa contiguità con la disciplina delle collettivizzazioni prevista dall'art. 43 - la portata della previsione del 3° co. della disposizione in commento, nella parte in cui attribuisce alla legge il compito (la facoltà) di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Si è, infatti, rilevato che, «se si ritiene che tra le attività economiche private
33 In questi termini v. DI PLINIO, La Costituzione economica nel processo costituente europeo, in Dir. pubbl. comp. eur., 2003,
1787-1788.

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rientrino quelle che costituiscono lo svolgimento della libertà di iniziativa (art. 41, 1° e 2° co.), la conclusione è evidente: la previsione di «fini sociali» da perseguire con programmi e controlli non può implicare negazione di quella libertà»34. E infatti non può ritenersi che la legge determinativa di programmi e controlli abbia la capacità di far venir meno il principio della libertà dell'iniziativa economica non solo in ragione della unitarietà dell'art. 41 (e dei suoi tre commi), ma anche sulla base delle risultanze dei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, che rivelano che, in sede di dibattito, la scelta dell'introduzione del termine «programmi» - in luogo di «piani» - nonché del termine
«controlli» implicasse un regime di libertà dell'iniziativa economica privata, pur soggetta a limiti importanti: in questa chiave, la legge determinativa dei programmi e controlli già si riteneva non potesse far altro che indicare degli obiettivi, dotati di una valenza puramente orientativa o persuasiva o
«indicativa» (ad esempio mediante misure di incentivazione), e non autoritativa, senza quindi incidere sulla libertà del privato di determinare le proprie iniziative e di organizzarsi di conseguenza. Il che è stato in più occasioni ribadito dalla stessa Corte costituzionale, la quale ha precisato che i
«programmi» ed i «controlli» non devono essere tali da sopprimere l'iniziativa privata ma solo da indirizzarla e condizionarla, e che - sebbene non debbano essere tali da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attività economica di cui si tratta, sacrificando le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte organizzative - essi possono affermarsi in vista del perseguimento di fini di utilità sociale, come nel caso dell'assunzione obbligatoria di determinate categorie di soggetti
(orfani di guerra, invalidi), particolarmente meritevoli di tutela o nel caso del divieto di licenziamento delle lavoratrici a causa del matrimonio, a tutela della libertà e dignità delle donne lavoratrici o ancora nel caso della previsione della chiusura settimanale dei pubblici esercizi e la disciplina dell'orario dei negozi, connesse alla tutela del diritto del lavoratore al riposo. La previsione del 3° co. dell'art. in esame presuppone pertanto alcuni elementi: in primo luogo, la consapevolezza dell'incapacità del mercato di autoregolarsi e di garantire l'«ottimo sociale» e la conseguente attribuzione alla legge del
34 Così PACE, Libertà d'iniziativa, cit., 487.

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compito di regolazione dell'attività economica in vista della necessità di correggere i «fallimenti» del mercato; in secondo luogo, la garanzia della «riserva (relativa) di legge» in base alla quale solo la legge può intervenire a limitare, sempre dall'esterno, l'attività economica e deve farlo determinando criteri e direttive idonei a contenere in un ambito ben delineato sia l'attività normativa secondaria che la concreta esecuzione amministrativa; ancora, la scelta di una «programmazione» indicativa o per incentivo, contrapposta ad ogni forma di pianificazione totalitaria, di per sé incompatibile con il riconoscimento della libertà economica. Tale ultimo elemento impone una ulteriore riflessione: la legge determinativa dei programmi e controlli opportuni, perché l'attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, ha ad oggetto non solo l'attività economica privata, che costituisce esercizio della libertà di iniziativa economica privata consacrata dall'art. in commento, ma anche l'attività economica pubblica. Quest'ultima indicazione, mentre svela la possibilità che l'attività economica sia svolta dai pubblici poteri in condizioni di parità e di concorrenza con i privati imprenditori - possibilità che ha aperto le porte allo Stato imprenditore e moltiplicato negli anni le forme di intervento pubblico nell'economia, portando alla proliferazione degli enti, dagli enti pubblici economici alle società a partecipazione statale, in un'ottica di governo dell'economia teso, almeno negli intenti, a realizzare la direzione politica del processo economico ed il contestuale rispetto del mercato e delle sue leggi (dalla l. 136/1953, istitutiva dell'Eni, alla l. 1589/1956, istitutiva del
Ministero delle Partecipazioni Statali, al d.p.r. 1670/1962 regolante l'organizzazione dell'Enel) -, sollecita la precisazione che detta attività non costituisce e non può costituire esercizio di una libertà, ma piuttosto una funzione, assegnata dalla legge al soggetto pubblico e strutturalmente destinata a soddisfare esclusivamente la finalità sociale per la quale tale attività viene imputata al soggetto pubblico, in una prospettiva di garanzia di non pregiudizio dei privati. È soprattutto dagli anni novanta, tuttavia, che tale «delimitazione» dell'intervento pubblico nell'economia si è andato profilando in linea anche con una «ripresa» del principio di sussidiarietà dell'azione statale nel settore della produzione economica, principio - secondo il quale «l'intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa privata o quando siano in

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gioco interessi politici dello Stato» e «può assumere la forma del controllo, dell'incoraggiamento e della gestione diretta» - già affermato nella dichiarazione IX della Carta del Lavoro, recepito da Pio
IX nella enciclica Quadragesimo anno e ribadito dalla Centesimus annus, ma tornato in auge anch'esso sulla spinta dell'integrazione comunitaria (ed oggi costituzionalmente consacrato nel diverso ambito della ripartizione dell'attività amministrativa dall'art. 118). Rispetto a tale riscoperta risulta viceversa assai datato il dibattito relativo alle leggi di «programmazione». È infatti noto che le più attente analisi sul punto si sono avute attorno agli anni sessanta, nei quali si riteneva opportuno impostare la politica di programmazione economica generale, al fine di ottenere il duplice risultato dell'attribuzione al
Parlamento della elaborazione delle scelte strategiche in campo economico attraverso la legge e della tutela, mediante la legge, delle situazioni giuridiche soggettive. La legge di programmazione, in altri termini, avrebbe dovuto sottrarre alla «mutevole facoltà del potere esecutivo» 35 la determinazione degli indirizzi di politica economica ed assicurare continuità all'indirizzo politico legislativo in materia economica, superando la frammentarietà degli interventi che avevano caratterizzato la politica economica dei primi governi di centrosinistra, condannati a vita breve. L'obiettivo era quello di applicare il metodo della programmazione economica generale per individuare i fini di politica economica da perseguire ed i mezzi adeguati per raggiungerli, delineando le apposite procedure di programmazione. Di contro alle indicazioni costituzionali, è in questa fase che viene recuperato il riferimento ai «piani» (nel segno della necessità di assicurare «una legislatura, un Governo, un
Piano»), anche se l'unica esperienza - peraltro destinata al fallimento - di legislazione di piano sarebbe stata quella della l. 685/1967, di approvazione del «Primo piano quinquennale 1966-1970», tesa almeno secondo le indicazioni contenute nella stessa legge cui era allegato il Piano - a definire «il quadro della politica economica, finanziaria e sociale del Governo e di tutti gli investimenti pubblici».
Anche tale esperimento - come si è detto fallito prima ancora di essere attuato - ha sollevato un dibattito dottrinale, dividendosi la dottrina fra chi sosteneva l'opportunità (ove non la necessità) di una simile legislazione a fini ad un tempo di identificazione precisa degli obiettivi economici da
35 Così C. cost. 35/1961.

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perseguire - e quindi di vincolo ai governi - e di tutela degli operatori economici stessi e chi, viceversa, segnalava l'inutilità del ricorso alla legislazione, essendo sufficiente l'atto di direttiva parlamentare per la specificazione dell'indirizzo politico assunto dal programma.

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Bibliografia
- Celotto Bifulco Olivetti, Commentario alla costituzione italiana, Utet giuridica, Torino 2006
- Enciclopedia Giuridica Treccani
- R. Bin Pitruzzella, Diritto Pubblico, Giappichelli, Torino 2006
- V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano, Milano,
1990

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Sitografia
- www.senato.it
- www.camera.it
- www.magna-carta.it
- www.forumcostituzionale.it
- www.diritto.it
- www.wikipedia.it
- www.treccani.it
- www.bancaditalia.it

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...1. Capitolo La spinta alle riforme della Pubblica Amministrazione 1.1 I principali interventi legislativi nella regolamentazione del rapporto fra politica e amministrazione nel processo di privatizzazione del pubblico impiego Il dibattito in Italia sulla privatizzazione del pubblico impiego si deve, in origine, ad un autorevole studioso, Massimo Severo Giannini. Questo illustre giurista, divenuto anche Ministro per la Funzione Pubblica negli anni 1979-1980, affermava già da tempo, sulla base della distinzione tra rapporto organico e rapporto di servizio, la mera occasionalità storica, e non necessità giuridica della generale regolazione unilaterale e pubblicistica del lavoro pubblico1. Da questo punto di vista, l’autore citato, nel denominato rapporto Giannini – sui principali problemi della amministrazione dello stato propone come soluzione la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico. In proposito, Giannini si chiede se un’altra strada praticabile non sia quella di privatizzare i rapporti di lavoro con lo Stato non collegati all’esercizio della potestà pubblica, mantenendo come rapporto di diritto pubblico solo quello di coloro ai quali tale esercizio è assegnato o affidabile, ovvero gli attuali direttivi e dirigenti.2 U. CARABELLI e M. T. CARINCI (a cura di), Il lavoro pubblico in Italia, Bari, 2010, p. 34. 2 M.S. GIANNINI, Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello stato, 16 novembre1979. Documento disponibile su: www.tecnichenormative.it. Osserva...

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Guide to Citation

...NEW YORK UNIVERSITY SCHOOL OF LAW JOURNAL OF INTERNATIONAL LAW AND POLITICS GUIDE TO FOREIGN AND INTERNATIONAL LEGAL CITATIONS FIRST EDITION ● 2006 © Copyright 2006 by New York University Contents FORWARD AND GENERAL INSTRUCTIONS................................................................................................. xiii ACKNOWLEDGEMENTS ......................................................................................................................................xv COUNTRY CITATION GUIDES ARGENTINA...............................................................................................................................................................1 I. COUNTRY PROFILE ..................................................................................................................................1 II. CITATION GUIDE.......................................................................................................................................2 1.0 CONSTITUTION...................................................................................................................................2 2.0 LEGISLATION......................................................................................................................................2 3.0 JURISPRUDENCE ................................................................................................................................3 4.0 BOOKS .....................................

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Resonsibility of Cra in the Latest Financial Crisis

...UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia Corso di Laurea in Economia delle Banche, delle Assicurazioni e degli Intermediari Finanziari TESI DI LAUREA “La responsabilità delle agenzie di rating nella recente crisi finanziaria e la conseguente regolamentazione a livello europeo” Relatore Ch.ma Prof.ssa Francesca Mattassoglio Laureando Tommaso Todesco Matricola 753238 ANNO ACCADEMICO 2013-2014 1 Indice 1. Introduzione ………......………………………………………………………4 2. Che cosa sono le agenzie di rating?…………………………………………. 5 2.1 Ruolo e compiti……...…………………………………………………... 5 2.2 Breve storia e importanza della reputazione ..…………………………7 2.3 I principali prodotti delle agenzie di rating...…………………………..9 2.4 Il procedimento di assegnazione del rating .…………………………. 12 3. I rating: mere opinioni o responsabilità civile?.......................................... 14 3.1 L’importanza dei rating per il sistema finanziario.....……...………. 14 3.2 L’importanza dei rating per i mercati finanziari.…………………… 16 3.3 L’importanza dei rating per gli Stati ………………………………... 18 3.4 L’importanza dei rating per gli istituti creditizi ……………………. 19 3.5 La responsabilità civile delle agenzie di rating ……………………... 20 4. Le responsabilità delle agenzie di rating ………………………………… 23 4.1 Le criticità delle agenzie di rating …………………………………… 23 4.2 Le responsabilità delle agenzie di rating nella crisi dei mutui subprime ………………………………………...27 4.3 Le responsabilità delle...

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The Health's Promotion in Adolescence: Internet and Sexuality

...SALUTE 9 1.4 SVILUPPO STORICO DELLA DISCIPLINA E SUA SEGUENTE ISTITUZIONALIZZAZIONE 10 1.5 LE DEFINIZIONI DA PARTE DI ALCUNI AUTORI DEL CONCETTO DI “SALUTE” 14 1.6 LO SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE NEL NOSTRO PAESE 18 1.7 DAL MODELLO BIO-MEDICO AL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE 20 1.7.1 CENNI STORICI SULLA TEORIA GENERALE DEI SISTEMI 22 1.7.2 L'IMPORTANZA DEL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE 23 1.8 UNA NUOVA VISIONE DEL DUOPOLIO “SALUTE-MALATTIA” 26 1.9 PRINCIPALI MODELLI TEORICI NELLA “PSICOLOGIA DELLA SALUTE” 28 1.10 IL CONTRIBUTO DELLE SCIENZE PSICOLOGICHE 34 CAPITOLO 2: L'IMPORTANZA DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE SESSUALE 38 2.1 STORIA E SVILUPPI DAL 1994 40 2.2 DEFINIZIONE DI SALUTE SESSUALE 41 2.3 UNA DISCIPLINA MULTISETTORIALE 42 2.3.1 LEGGI, DIRITTI UMANI E POLITICHE 43 2.3.2 EDUCAZIONE 44 2.3.3 SOCIETA' E CULTURA 45 2.3.4 ECONOMIA 45 2.3.5 SISTEMI SANITARI 46 2.4 PORTATA DEL CONCETTO DI SALUTE SESSUALE 47 2.4.1 DEFINIZIONI 49 2.5 RIDEFINIZIONE DEL RAPPORTO TRA SALUTE SESSUALE E SALUTE RIPRODUTTIVA 50 2.6 ELEMENTI CHIAVE DELLA SALUTE SESSUALE 51 2.6.1 L'APPLICAZIONE DEGLI ELEMTI CHIAVE 52 2.6.2 INFEZIONI DEL TRATTO RIPRODUTTIVO E...

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Dallagiovanna

...UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE Facoltà di Economia e Giurisprudenza Corso di Laurea triennale in Economia Aziendale Far farina al tempo della recessione: la miscela vincente Il marketing agroalimentare durante la crisi: il caso Molino Dallagiovanna Relatore: Chiar.ma Prof.ssa D’Este Carlotta Elaborato finale di: Matrà Giuseppe matr. n° 3903347 anno accademico 2012/2013 ... a mamma e papà, che non mi hanno mai fatto mancare nulla, dal sostegno psicologico alla disponibilità economica, spaccandosi letteralmente la schiena per farmi raggiungere i miei obiettivi... ... a nonna Maria, che pur abitando dall’altra parte dell’Italia mi è sempre stata vicina con le sue preghiere e col suo grande cuore, da quando impugnavo una biro cancellabile fino alla stesura di elaborati importanti come questo... ... ai miei amici, la combriccola di Sant’Antonio in primis, grazie a cui i momenti non occupati dallo studio assumono sempre un sapore autentico e speciale... SOMMARIO A. INTRODUZIONE I. Il settore agroalimentare nel mondo 10 II. Il settore agroalimentare in Italia 12 III. Il settore agroalimentare a Piacenza e provincia 15 B. IL CASO CONCRETO: MOLINO DALLAGIOVANNA I. Presentazione dell’azienda e cenni storici 18 II. Assetto istituzionale ...

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Innovation Initiatives in Italian Banks

...POLITECNICO DI MILANO SCUOLA DI INGEGNERIA DEI SISTEMI CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA GESTIONALE LE INIZIATIVE INTRANET: ANALISI DELLO STATO ATTUALE E DELLE PROSPETTIVE FUTURE NEL SETTORE BANCARIO ITALIANO Relatore: Prof. Mariano Corso Correlatore: Ing. Fiorella Crespi Tesi di laurea di: Germano Mangia 767184 Federico Migliorini 765984 Anno Accademico 2011-2012 II Indice INDICE INDICE DELLE FIGURE INDICE DELLE TABELLE ABSTRACT SOMMARIO 1 IL CONTESTO MACROECONOMICO DI RIFERIMENTO 1.1 La difficile situazione attuale: quadro macroeconomico 1.2 La dinamica della crisi finanziaria internazionale VI IX X XI 1 1 3 2 IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO 2.1 L’evoluzione del sistema bancario italiano negli ultimi vent’anni: il processo di concentrazione 2.2 Il sistema Bancario italiano attuale 2.3 Le caratteristiche del sistema bancario italiano 2.4 La Normativa bancaria 2.5 I Trend futuri 6 6 10 14 19 26 3 IL RUOLO DELL’ICT IN BANCA 3.1 Il ruolo dell’ICT nelle organizzazioni 3.2 Il mercato italiano dell’ICT 3.3 Il ruolo dell’ICT nelle banche italiane 31 31 33 40 4 LA INTRANET 4.1 Definizione di Intranet 4.2 I modelli di Intranet 4.3 Le funzionalità supportate dai modelli di Intranet 4.4 La Governance della Intranet 4.5 L’evoluzione della Intranet 4.6 Verso il Virtual Workspace 4.7 L’Intranet 2.0 4.8 L’Enterprise 2.0 71 71 73 74 75 78 79 84 85 5 GLI AMBITI DI INNOVAZIONE 5.1 L’ Unified Communication and Collaboration...

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